domenica 31 ottobre 2010

Tempo...

Tempo… Tempo tiranno, tempo prezioso… Scandito dal ticchettio pigro di lancette che girano monotonamente lo stesso corso. Scivolano sopra numeri che pur ripetendosi non torneranno mai più. Solo la mente può vagare in questi confini, repentinamente e così magistralmente che tutto sembra quasi reale: gioia, nostalgia avviluppano il cuore con le loro spire deliziose che allettano l’animo, lo esaltano, lo fanno sorridere. Lentamente scivola una sera sfiorando la mente, giocando con i ricordi. Vaghi, lontani, emergono sagome di monumenti che paiono così strani ma che aiutano a riflettere. Un angelo che con un vago sorriso ed una mano rivolta alla terra che custodisce le ossa di qualcuno che è vissuto anni fa e con un dito dell’altra addita il cielo dove quell’anima che ha lasciato il proprio involucro è andata a tuffarsi, anelante dell’eternità. Come una coperta il silenzio avvolge il cimitero, nonostante sia brulicante di persone. Mi vedo mentre assaporo quel silenzio misterioso e prezioso, così trattenendo il respiro con lo sguardo rivolto verso la collina ricoperta di tombe: tombe sontuose, tombe povere…
Sulle tombe dei bambini vegliavano alcuni angioletti dall’espressione pensosa, altri con un’aria quasi estasiata come a voler riflettere con la luminosità del volto il paradiso che aveva accolto quel fiore colto prematuramente dal giardino del mondo. Sulle tombe più recenti, sempre appartenenti a bambini, alcuni pupazzetti con gli occhi stralunati stavano lì immoti come se fossero increduli di tanto dolore che ha colmato un’infanzia, dolore che ha strappato quel piccolo fiore dallo stelo della vita. M’incantavo là, davanti a quelle tombe che sembravano traboccare di dolore, il dolore dei parenti ed amici che avevano portato quei ricordi a voler significare la loro speranza nella continuazione della vita. Ma come poteva la vita continuare? Eppure, di fronte alla freddezza di quelle tombe conclusione di vite terrene, il mio cuore sfiorava l’eternità. Il pensiero, racchiuso nella mia mente, poteva volare, sfiorare terre oltre confine. Così sicuramente avveniva a loro: quella cosa non materiale, cioè l’anima volava dal corpo per raggiungere terre oltre confine, quelle eterne. Che mestizia! M’interessava l’epilogo di quelle esistenze. Qualche volta accarezzavo quelle fotografie. Sì, m’interessavano le storie delle giovani vite spezzate. Da sempre. La morte, amica e nemica, mi ha sempre affascinata e l’ho sempre temuta. Amore e odio. Insieme, hanno convissuto per moltissimo tempo. Il silenzio, l’eternità si confondevano insieme. Le punte alte e sottili dei cipressi che ondeggiavano al vento e parevano voler sfiorare il cielo, mi sembravano l’emblema giusto dell’eternità. Morte, cara morte. Non volevo di certo donarle la mia anima. Volevo lasciarle solo il corpo. L’anima, purificata dal cammino di “miglioramento” desiderava la luce. Ma come si faceva a raggiungere l’eternità? Ma perché morire? La morte si confondeva con l’idea della luce, una luce intensa, dolce, colma di pace. M’interessava quel momento, così supremo, intoccabile, irripetibile. Ancora adesso la guardo con curiosità e timore, allo stesso tempo. Qualche volta con lo slancio di avere il cuore già nell’eternità. Leggo con piacere le storie di chi ha affrontato con coraggio la morte e soprattutto le testimonianze dell’apparizione delle anime, per sollecitare la mia anima alla fede. Ancora oggi, come allora, m’interessano soprattutto le vite stroncate nel fior fiore degli anni. Non so ancora spiegarmi il motivo, ma è così, una cosa innata.

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