domenica 17 ottobre 2010

La preghiera

Ho riflettuto sulla preghiera e sul suo valore intrinseco. Coincideva con la liturgia di oggi ma, in realtà sono riflessioni di giorni e giorni. Spesso mi soffermo su questo argomento. Ascoltando poi, la seconda lettura di san Paolo, si sono aggiunte ad esse, altre riflessioni.
Prego un rosario intero, l'ufficio, assisto alla Santa Messa, ricevo l'Eucarestia, quando posso mi confesso. A volte, anche queste cose, buone e giuste, nascondono un trabocchetto che delimita il confine tra vera vita vissuta in Cristo e fariseismo puro, anche inconsapevole: non sempre si sceglie, anzi, il più delle volte chi è "fariseo" è cieco e non vede i suoi difetti, ma, piuttosto, vede quelli degli altri.

L'Ave Maria. Preghiera semplice che si ripete chissà quante volte al giorno, densa di significato. Ave: saluto rivolto alla Madonna. Si può salutare per pro-forma; si possono salutare anche persone che non si conoscono o per un'educazione impartita ai tempi della propria infanzia. Forse, il più delle volte si recita meccanicamente e non si comprende che, ogni volta che si dice ave, si saluta la Madonna. Si saluta la propria madre con un moto di affetto del cuore, accompagnato da uno sguardo che esprime i propri sentimenti. Di certo, noi occidentali abbiamo svuotato molto le parole del loro significato. Il saluto dell'Angelo a Maria nel momento dell'annunciazione, era denso di significato, per questo la Madre di Dio si turbò a tale saluto. "Ave, o Piena di Grazia! Il Signore è con te". Interessante il modo di salutare degli antichi romani: Ave o salve; e la risposta relativa: "Ave et tu" Salute anche a te. Era il Signore che esprimeva il motivo per cui Maria era colma di grazia. Il nostro saluto deve diventare, perciò, simile a quello che si rivolgerebbe alla propria madre naturale: non ci stanchiamo mai di salutarla, eppure la formula del Corsivonostro saluto rimane uguale: Ciao! E non sentiamo noia o fastidio, anzi, se possiamo, accompagniamo il nostro saluto con un bacio o un abbraccio. Teniamo molto alla forma di saluto verso gli estranei o conoscenti o amici, perché, sotto sotto, vogliamo fare noi una bella figura. Gli orientali davano molta più importanza al saluto: shalom. Noi occidentali spesso scindiamo la parola dal suo significato: forse è eredità dei Gentili? Forse. Cos'è diventata l'ave Maria? Una preghiera da recitare meccanicamente, al ritmo di una marcia, oppure di una rilassata passeggiata, stando attenti a non superare gli altri... e mentre pensiamo a questo, alla forma esterna, ci scordiamo con chi stiamo parlando e ci perdiamo le grazie più sublimi.Corsivo

Padre nostro. Preghiera sublime, insegnata da Gesù. Lo ripetiamo spesso, ma come le altre parole, quelle che diciamo, le recitiamo. Senza volerlo e, soprattutto senza accorgercene, affermiamo: recitiamo il Padre Nostro. Recitare significa esattamente: dire di nuovo. Ma noi, non dobbiamo recitare una parte, dobbiamo far nascere dalla sorgente del nostro amore, il Padre nostro. Dobbiamo dire, far nostro e la chiesa lo afferma giustamente durante la Santa Messa: diciamo insieme, osiamo dire PADRE NOSTRO. Dire, non recitare. E diciamo tante storie: persino la nostra condanna: rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. E forse, non abbiamo perdonato il nostro fratello... Così, non recitiamo, ma decidiamo la nostra condanna.

Possiamo pregare infinite ore, tutti insieme, in comune, ma la preghiera non ha nessun valore se essa è meccanica e non nasce dal profondo del proprio cuore, come da una sorgente d'amore, un dialogo incessante con il proprio Dio. E non ci accorgiamo, perché ciechi, che siamo caduti nel fariseismo. Sintomi di tale "sindrome"? Non vivo più dentro di me, ma osservo ciò che fanno gli altri. Applico le meditazioni alla vita altrui e, appena posso, taglio loro la strada per far comprendere che la vera santa, o il vero santo, sono io e non quello/a. Mi occupo di apparire ligio all'esterno, scusando assassini crudeli ma condannando, sparlando, di coloro che mi sono più vicini, così m'ILLUDO di avere una grande carità, ma non comprendo che sono cieco, orribilmente cieco e, non sapendolo, volentieri urto la mia povera testa contro qualche albero. Faccio tutto bene, i lavori più duri sono i miei, ma intanto critico il fratello e osservo se lui li fa, talvolta sbagliando clamorosamente perché come possiamo vedere i difetti degli altri in modo veritiero quando non vediamo i nostri? Non possiamo perché siamo accecati dai nostri e spesso e volentieri, vediamo negli altri i nostri difetti che superiamo solo esteriormente, compiendo i lavori duri, ma interiormente, avremmo voluto che li avessero fatti gli altri ed il nostro lavoro diventa la nostra condanna, contro la carità. Il fariseismo nel cristiano o religioso è molto sottile. Il metro con cui giudicare il vero santo è la carità, non il lavoro duro che compiamo. Lo dice la Sacra Scrittura stessa: fate tutto senza mormorazioni o critiche perché siate figli dell'Altissimo...
Il problema grosso, forse perché abbiamo i piedi troppo piantati a terra, sarà quando Dio ci domanderà della nostra vita e noi non sapremo rispondere perché siamo stati occupati a vedere la vita degli altri!!!!

1 commento:

Gabe ha detto...

è proprio vero a volte non ci rendiamo conto che Dio esiste ed ha bisogno di Noi ma è forse meglio dire che siamo Noi ad aver bisogno di Lui.