sabato 8 ottobre 2016

Commento al film "Sangue dei vinti"

Continuando a parlare del film “Il sangue dei vinti”, sono arrivata a questo tramite un sito che raccontava di ciò che accadeva in quel periodo storico, senza esaltare né la parte dei fascisti né quella dei partigiani comunisti. Era una persona che aveva vissuto quel periodo terribile, lo aveva sperimentato sulla propria pelle.
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Per tale motivo, mi sono accostata al film in modo curioso, non sapendo effettivamente quali contenuti avrei trovato. 

Secondo la mia modesta opinione, non sono di certo al pari di uno storico, il film mi è apparso subito ricolmo di simbolismi, di un notevole spessore. Prima di tutto ci pone davanti ad una famiglia composta dai due genitori, il papà invalido senza una gamba, e la mamma, e da tre figli che rappresentavano tre ideologie differenti: Francesco, il protagonista della storia è neutrale, interpretato da Michele Placido, fa il poliziotto e si batte per la giustizia senza abbracciare nessuna ideologia politica, ma desideroso del bene e della pace; la sorella di questo, Lucia, dopo aver perso il novello sposo durante i bombardamenti degli alleati su Roma, proprio mentre, appena sposati, rientravano da Torino, si arruola nella milizia della Repubblica Sociale Italiana per vendicarsi della morte del suo amore perso; il fratello, Ettore, pieno di odio nei confronti degli orrori del regime fascista, si unisce al fronte dei partigiani. 
Sono tre storie, tre punti di vista che si intrecciano, che vogliono descrivere le differenti posizioni cercando di capire le motivazioni che le hanno spinte all'odio e all'estremo. 
Forse mi sbaglierò, ma a me non sembra che il film abbia voluto denigrare le lotte partigiane: chiaro e comprensibile è che ciò che muoveva spesso i partigiani era il desiderio di sovvertire il regime per liberare il paese ma che spesso, il vuoto e l'orrore lasciati dalle atrocità di cui i loro occhi erano colmi, abbiano fatto sì che compissero atti non troppo ponderati o a prevaricare alcuni limiti, mettendosi poi allo stesso livello dei carnefici fascisti.
Il film, infatti, ha presentato anche gli orrori dei fascisti e dei nazisti. Non direi che parteggiasse per loro come alcune critiche hanno affermato. Chi direbbe che l'autore del film caldeggiasse  uno che nella sua ritirata, rastrellava dalle case persone, seppur in risposta a degli attentati partigiani, e senza pietà uccideva bambini innocenti? Non mi pare che abbia nascosto le atrocità dei fascisti. Forse voleva far riflettere che gli italiani, presi dalla morsa e dal desiderio di liberazione, oppure da ideologie altrettanto violente o ancor più violente di quelle fasciste (o similari), agivano senza troppo pensare alle conseguenze, forse quasi “avendo fiducia” nel nemico o non pensando troppo alle vittime innocenti che si lasciavano dietro. 
È chiaro che l'atteggiamento dei nazifascisti, anche se era una risposta agli attentati, non aveva giustificazione alcuna, però forse un po' di prudenza sarebbe stata opportuna visto che tali soggetti non avevano alcun giudizio morale... le fosse ardeatine ne sono testimoni...
Inoltre è vero che nel cosiddetto triangolo della morte ubicato in Emilia Romagna si perpetrarono i più atroci delitti, bisogna saperlo ammettere, come si sono ammessi i crimini fascisti, senza una valida giustificazione. Tanti di questi martiri non onorati come chi combatté con l'arma in mano, hanno perso la vita solo perché indossavano una talare.
Nel film appaiono sotto la veste di assassini dei preti i nazifascisti, ma sappiamo bene che il suolo dell'Emilia Romagna è imbevuto di questo sangue sparso dai partigiani comunisti. Non tutti si sono macchiati del sangue innocente fra i partigiani, tanti di loro combatterono con valore e desiderio vero di pace, così come molti tra i fascisti non si macchiarono di delitti. Un esempio? Rolando Rivi. Se nei confronti dei preti adulti potevano avere un minimo dubbio che avessero appoggiato il regime fascista (ma non fu così perché tanti preti, religiosi e cristiani persero la vita in nome della libertà), non potevano pensarlo di un ragazzino di 14 anni reo di portare la talare. Le uccisioni nei confronti dei ragazzini, bisogna condannarle da entrambe le parti! Era poco più che un bambino! Ma quale coraggio o vigliaccheria... o quale odio??? ma, se anche nella sua gioventù avesse fatto parte di qualche associazione fascista, aveva solo 14 anni!!! Diciamoci la verità, apriamo gli occhi, Rolando fu ucciso solamente perché indossava la talare e impediva la scristianizzazione dell'Italia che la Russia voleva attuare nei suoi esponenti italiani. Come lui tanti altri... 
Non sono vaneggiamenti i nostri.
Andiamo in un'altra nazione, la Polonia. Tempo fa lessi un libro molto interessante: “In nome dei miei”. Se si cerca la trama del libro su internet, c'è solamente la denuncia dei crimini nazisti, ma leggendolo si scopre un altro pensiero, molto importante dello scrittore. 
Martin Gray era un ebreo nato in Polonia nel 1922 e morto proprio il 25 aprile di quest'anno. Fu uno dei pochi sopravvissuti all'inferno del campo di sterminio di Treblinka. I suoi occhi videro tante cose orrende e decise di combattere il loro carnefice, i Nazisti, arruolandosi nell'Armata Rossa. Così come combatté da valoroso nel ghetto di Varsavia, la servì con dedizione. Capì quasi subito però che non era esattamente quello che cercava, con una frase che scrisse ma che nessuno ha commentato. Io conosco il libro quasi a memoria, l'ho letto e riletto e le sue parole erano più che chiare: Martin era assetato di vendetta, voleva vendicarsi con i Nazisti, ma capì subito che la vendetta mutavano le vittime in carnefici... Cercava di ricordare il volto di chi aveva denunciato i bambini ebrei e li aveva consegnati nelle mani dei Nazisti, ma negli occhi di quei tedeschi vedeva la stessa paura, lo stesso terrore degli Ebrei che venivano rastrellati. Venivano fucilati solo perché erano tedeschi. “Il confine tra vittime e carnefici è sottile, chi è stato vittima può diventare carnefice in un attimo”. Lo aveva sperimentato vedendo occhi terrorizzati, corpi che penzolavano per le strade... 
Medesima l'esperienza di Giorgio Perlasca. Non riusciva a vedere i soprusi che venivano commessi dall'Armata Rossa...
La cosa che mi ha colpito di più è che l'autore ha scelto come protagonisti tre fratelli, non tre amici, che erano legati con il sangue e che alla fine si sono uccisi a vicenda. L'odio non ha portato a nulla. 
Francesco, il protagonista principale, pur accettando il valore della libertà per cui il fratello combatteva, non ha mai combattuto con i partigiani, eppure ha aiutato una sua “amica” madre di una bambina, dalle mani dei fascisti, tra l'altro tramite la sorella. Se l'autore fosse stato dalla parte dei fascisti, non avrebbe fatto vedere queste scene; inoltre, insisteva che Lucia tornasse a casa e smettesse di combattere per il fascismo. Io penso che bisognerebbe accostarsi alla storia senza nessun pregiudizio o cercare di farlo in modo il più possibile neutrale, per capire ciò che si è sbagliato e cercare di non cadere negli stessi errori...

mercoledì 5 ottobre 2016

"Il sangue dei vinti"

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I film e i libri hanno molto da insegnarci. Vedere un film e leggere un libro in modo critico, ci aprono la mente inducendoci a riflettere e a uscire dal nostro modo di vedere, per accogliere, per valutare un nuovo punto di vista differente dal nostro, a prescindere dalle nostre convinzioni e dalle nostre esperienze. Per ciò, lo studio dischiuderebbe la mente su nuovi orizzonti. Chi non studia, difficilmente riesce a mettersi in un punto diverso dal suo, seppur anche in questo caso ci siano parecchie eccezioni. L'ignoranza è paragonabile alla conoscenza di una sola strada. Ignoriamo che ci sono altre strade e percorriamo solamente quella, così vediamo unicamente un  paesaggio. La nostra visione è limitata. L'uomo basa le sue conoscenze sull'esperienza. Lo studio,la lettura, gli permettono di sperimentare altri stili di vita, di fare altre esperienze che possano arricchire il suo bagaglio e quindi aprire la propria mente a nuovi orizzonti, capire il prossimo e così via... È un po' quello che accade al bambino quando sperimenta diversi ruoli nei giochi simbolici. Così è l'adulto quando legge o vede un film. Sperimenta ruoli diversi. Ovviamente è solo un paragone seppur efficace. L'adulto ha già una sua mentalità e deve svilupparla in modo critico per non essere omologato alla folla, ad una ideologia... deve avere dei suoi punti fermi per non essere trascinato dalla corrente del “tutti fanno così”.

Per vari motivi, mi sono ritrovata a vedere un film che faceva riflettere sulla storia della seconda guerra mondiale in Italia, sotto un altro punto di vista, senz'altro differente da quello dei libri scolastici. Amo riflettere sui fatti storici, in modo particolare su quelli che hanno caratterizzato il secolo scorso da poco concluso. Sono convinta che se uno si impossessa della storia della propria nazione, conosce maggiormente le proprie radici, impara ad amarle e quindi a mettersi a disposizione con più entusiasmo a servizio di essa per migliorarla, evitando sterili brontolii o ancor più stupidi voti di protesta che non portano a nulla se non a far cadere nel baratro una Nazione che dovrebbe crescere anziché affondare ancor di più.  
Bisognerebbe riuscire ad avere una visione imparziale della storia e non solamente da un punto di vista. È questo che ha cercato di fare il film interpretato da Michele Placido, “Il sangue dei vinti”. Vi consiglio di vederlo, perché fa riflettere sui fatti sanguinari di entrambe le parti: fascisti e non. È facilmente reperibile su youtube. Entrambe le parti hanno aperto fosse comuni, si sono lasciati dietro una scia di sangue che grida ancora vendetta. Fa riflettere che la violenza non fa giustizia. 

domenica 2 ottobre 2016

La speranza nell'umanità

“E’ un miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili.
Le conservo ancora nonostante tutto perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. … Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità.
Intanto debbo conservare intatti i miei ideali; verrà un tempo in cui saranno ancora attuabili.”

Comincio questo post con la frase di Anna Frank, perché penso sia una bellissima testimonianza di fede da cui tutti noi dovremmo imparare. Tutti conoscono la storia di Anna Frank, non è l'unica, ce ne sono tante altre che andrebbero raccontate, rimaste nell'oblio e nel silenzio, tuttavia mi servo di questa per riflettere su un tratto fondamentale che l'umanità di oggi ha fondamentalmente scordato.... ed è un vero peccato perché si preclude la possibilità di godere pienamente della vita e della straordinarietà delle persone. 
Risultati immagini per bontà d'animoAd Anna il coraggio non mancava di certo. Anna era di fede ebraica, ma ci sono stati tanti preti e tante altre persone che hanno avuto il coraggio di offrire la loro vita in quel periodo storico così buio... e così sconosciuto! Nonostante questo, prendo Anna ad esempio proprio perché è quasi un'adolescente e in quella fase delle sua vita, nel tumulto dei suoi desideri, dei sentimenti che comincia a scoprire in sé, si ritrova chiusa in un appartamento, a soffrire talvolta la fame, la mancanza d'aria e di movimento,la paura di una irruzione delle SS e quindi della sua stessa vita, come d'altronde quella dei suoi cari.
Nonostante questa sofferenza terribile, lei ha il coraggio di guardare al di là del proprio naso, e partecipa alla sofferenza di coloro che sente e sa meno fortunati di lei, che hanno già pagato con le torture, con le violenze, le loro ideologie di libertà, di appartenenza ad una razza o condizione umana... Sa di essere fortunata, questo è incredibile! Allora mi allaccio a quello che ha detto recentemente il Papa: non lamentatevi in continuazione, perché così non vedrete mai il bene che c'è nella vostra vita!”... Già, vivono in una prigione ma non se ne accorgono, in una prigione della quale chiudono il cancello loro stessi e poi... se ne lamentano... 
“Basta lamentarsi della società!”ha aggiunto il Papa. Sacrosante parole: invece di lamentarsi bisognerebbe chiedersi: “Ma io cosa ho fatto per migliorare la società? Ho contribuito a migliorarla nei miei rapporti con gli altri?”. Forse no, perché se sono impegnato a lamentarmi degli altri, non mi accorgo assolutamente che io stesso ho fatto del male agli altri e certi atteggiamenti sono la conseguenza dei miei.
Anna possedeva una speranza indistruttibile, non si lagnava di tutto ciò che la circondava anche se ne aveva ben donde per farlo, ma credeva che le persone fossero buone nonostante tutto, nonostante lei avesse conosciuto davvero la cattiveria. 
Certamente, anche un'ebrea aveva predicato a soli 13 anni ciò che il nostro Papa continua a ripetere.