mercoledì 28 settembre 2011

Il peccato

Il peccato è un'offesa a Dio e la sua confessione è fondamentale affinché l'anima diventi di nuovo limpida agli occhi di Dio. E' importantissimo sondare l'essenza di esso, la sua origine e il suo sviluppo.Al giorno d'oggi si tende a vedere il confessore come uno psicologo, una persona su cui riversare le angosce del nostro spirito. Non si ha il coraggio di andare dallo specialista e allora riversiamo sul confessore, psicologo gratis, le nostre pene. La vera funzione del confessore non è questa. Da che cosa si comprende che il confessore è considerato tale dal penitente? Sicuramente dalla tendenza a confessare peccati contro il prossimo. Il nostro pentimento deve scaturire principalmente dal dispiacere di avere offeso Dio, poi il prossimo, creato a Sua immagine.Solo così la Confessione potrà essere completa e appropriarsi della sua vera essenza, altrimenti diventa un riversare sull'altro le proprie angosce e frustrazioni. 

domenica 25 settembre 2011

L'amore alla Croce

Il valore della Croce si comprende pienamente solo in rapporto alla logica dell'amore di Dio. Pure l'amore umano ha i suoi lati positivi ed è capace di oblatività, ma possiede dei confini che non supera: si limita a sacrificarsi, a perdonare solo a parenti ed amici e l'amicizia ha la connotazione dello stare bene insieme per affinità di carattere.Nell'amore umano si può mischiare un certo interesse, un desiderio di essere ricambiato e quando si sperimenta il tradimento, inevitabile nelle condizione umana, spesso e volentieri si spezza, non trova spazio per il perdono e lascia campo alla delusione e alla disperazione.
La Croce va al di là di tutte questi calcoli, supera i confini e s'immerge nell'infinito. Non avrebbe però senso, se essa non fosse accompagnata dall'amore. Siamo tutti creati per la felicità, ma il dramma umano ha inizio nel momento stesso in cui siamo venuti alla luce: destinati a morire in un giorno che non conosciamo, ci dilettiamo delle cose transitorie e perdiamo di vista il senso della vita.
Quante volte noi stessi cristiani pronunciamo senza immergerci nel vero significato, la parola Croce. Prorompiamo in espressioni di fede, vorremmo stare sotto la Croce, ma poi, quando la sofferenza bussa realmente alla porta della vita, tutti i nostri discorsi si demoliscono, non trovano consistenza. La poesia c'entra poco con la logica della croce, dura da comprendere ma soprattutto da vivere.
Croce vuol dire sofferenza morale intensa, tradimento, accompagnata dalla capacità di offrire e di amare perdonando i crocifissori. 
La logica della Croce va quindi compresa e letta in quella dell'amore. Le nostre croci sono sempre più piccole di quella che ha subito Nostro Signore: una croce davvero ingiusta. 

Quando noi parliamo di Croce dimentichiamo che è un patibolo dove il Corpo di Cristo, dilaniato, esala la sua anima. Parliamo di salvezza, ed è giusto perché dalla Croce è scaturita la salvezza, ma non entriamo nell'essenza di questa, rimaniamo alla superficie e non diveniamo discepoli veri di Cristo: "Chi vuol essere mio discepolo, prenda OGNI GIORNO la sua CROCE e mi segua".

Ogni vita umana è segnata dalla croce, dalla sofferenza. Gesù con questa breve frase, non alludeva ad una croce qualsiasi, alla sofferenza sterile, sopportata tanto per sopravvivere: voleva ben dire: accetta il tradimento, la sofferenza fisica, la solitudine in espiazione e riparazione dei peccati tuoi e dell'umanità intera.
Se non fosse stato così, Gesù avrebbe parlato semplicemente di sofferenza. Parla invece di croce, in rapporto alla Sua Passione. La sofferenza, la croce dell'uomo, quella che noi crediamo ingiusta, va portata. Ogni vita del discepolo, è in relazione a quella del Maestro. Non può essere scissa da essa. Essa, nelle Sue mani, solo nelle Sue mani, diventa strumento di salvezza per tutto il genere umano.
Dalla riconoscenza, dall'amore per la Croce di Cristo, nasce l'amore per le nostre croci quotidiane. Comprendiamo che la Croce di Gesù è la nostra salvezza; pure la nostra croce può diventare strumento di salvezza e si deve amare: da patibolo infamante, delusione cocente per il tradimento, può diventare salvezza per tante anime lontane da Dio e consolazione per il Cuore trafitto di Gesù. Ecco quindi, il desiderio dei santi di soffrire. Non certo per puro masochismo, l'uomo è infatti creato per la felicità, soprattutto l'uomo chiamato da Dio a seguirlo più da vicino. Allora, solamente se comprendiamo la grandezza della Croce di Gesù che ha portato alla Resurrezione, possiamo dare significato alla nostra Croce che, unita alla Sua, si può finalmente scrivere con la C maiuscola...

venerdì 23 settembre 2011

Padre Pio

Oggi nella liturgia si ricorda san  Pio da Pietrelcina. Ho letto proprio in questi giorni parte della sua biografia, scritta da Malatesta. Mi ha fatto riflettere molto che lui vivesse la santa Messa in modo profondo, partecipando anche con il corpo al sacrificio di Cristo. Una fedele commentava che era la prima volta che vedeva la santa Messa come un sacrificio cruento.
Mi sono interrogata sulla mia stessa fede, se davvero credo fermamente che in quell'ostia ci sia il Corpo di Cristo. Tante volte si riceve in modo superficiale, si crede fino ad un certo punto, altrimenti non si avrebbero certi atteggiamenti. Com'è importante vivere con Cristo, questa vita transitoria, un velo che si perde, che si confonde con uno scenario illusorio.

giovedì 22 settembre 2011

Il bambino dal pigiama a righe


Un altro film commovente è "Il bambino dal pigiama a righe". Ha come sfondo la seconda guerra mondiale, in particolare la soluzione finale. Gli orrori della pazzia di Hitler non posseggono alcun freno: irrorano di sangue innocente la terra polacca, olandese, tedesca, ovunque ci siano i famigerati campi di concentramento. I parenti degli ufficiali sono a conoscenza parzialmente della cosa e da una parte non la condividono: tremano, cercano di proteggere i propri bambini tenendoli all'oscuro. Non si può tuttavia, nascondere una realtà così dura e orribile che era la shoa nella quale tante persone hanno perso la vita violentemente. Il bambino con il pigiama a righe è un piccolo ebreo internato in un campo di concentramento assieme al padre. Per sfuggire alla tirannia dei tedeschi e al lavoro che massacrava togliendo minuti, ore di vita, il bambino si nascondeva dietro alcuni massi e si accoccolava per terra accanto al filo spinato che delimita il campo. E' là che incontra e nasce. l'amicizia con il bambino tedesco, ignaro di tutto, figlio di un ufficiale tedesco ariano, ovvero puro di razza. Un'amicizia che nasce fra due bambini fondamentalmente soli: quello tedesco e quello ebreo. Quello tedesco, infatti, è obbligato a stare nel giardino della casa dove il padre è stato trasferito per attuare la soluzione finale. I genitori lo controllano a vista, ma il bambino è attirato dal continuo fuoriuscire di fumo da un comignolo lontano.  Riesce, perciò, a fuggire dal giardino e a raggiungere il luogo da cui sembra provenire il fumo. Allora incontra il bambino ebreo con il quale fa amicizia, accostandosi alla sua dura realtà, ai suoi problemi. L'amicizia sperimenta persino il tradimento, quando il bambino ebreo, Smhuel, viene impiegato nei lavori domestici in casa di Bruno, il bambino tedesco. Bruno offre da mangiare al suo amico, così affamato, ma viene sorpreso da un ufficiale tedesco che lo impaurisce e lo spinge a dire una bugia, cioè che era stato lo stesso Smhuel a prendere da mangiare. Smhuel paga caro il suo gesto con le botte... Perdona subito il suo amico e non gli mostra nemmeno un po' di risentimento, anzi, gli confida che il suo papà non si trova più: è un dolore ancor più grande delle busse dategli dai tedeschi. 

Questo insegna il vero valore dell'amicizia, che passa anche attraverso il tradimento e il perdono.

domenica 18 settembre 2011

Incompreso

"Incompreso" è un grande romanzo per ragazzi di Florence Montgomery. Bellissimo, straordinario, tocca le corde più profonde del cuore facendole vibrare di amore e tratteggiando esaurientemente e magnificamente la psicologia di Humphrey, il figlio maggiore di un parlamentare britannico rimasto vedovo. La moglie aveva lasciato due ragazzini: Humphrey e Miles. Quest'ultimo era delicatissimo di salute e spesso seguiva  Humphrey nelle sue birichinate e, così, siccome soffriva di angina pectoris, rischiava la  vita. Il papà mostrava più affetto di Miles e considerava Humphrey duro di cuore, incapace di provare sentimenti per gli altri e di capire che il suo atteggiamento sventato poteva portare a conseguenze serie. Non aveva capito assolutamente il dolore che provava il suo figlio maggiore di fronte al grave lutto che l'aveva colpito. Finirà che morirà cadendo dentro uno stagno insieme con il fratello, spezzandosi la spina dorsale, mentre faceva l'esperimento di un gioco appreso da suo zio venuto a trovarli. Questi, infatti, aveva l'abitudine di raccontare ai ragazzi storie fantastiche di avventure che poi, essi, volevano subito realizzare. Romanzo toccante, profondamente psicologico, è stato riportato sullo schermo pochi anni fa. I due fratellini, anziché essere inglesi, sono italiani. Il padre non è un parlamentare ma è un proprietario terriero. La moglie muore di leucemia ma, al contrario del romanzo, Francesco (Humphrey) muore salvando la vita del fratellino minore Mino (Miles).
La differenza fra il libro e il film è che, mentre nel primo l'incidente è conseguenza di una birichinata che mette tuttavia a nudo il desiderio di Humphrey di raggiungere la mamma, la sofferenza di vedere preferito il fratellino e il senso di colpa che accompagnava i suoi guai... e il sollievo di essere malato lui al posto del fratello, il secondo presenta un Francesco molto più evangelico e commovente: le birichinata sono commesse per accontentare Mino, il fratellino. Perde la vita per salvare Mino, cadendo dal trampolino difettoso, nella piscina vuota per manutenzione. Pare un Francesco molto più grande e nobile di animo dell' Humphrey del libro, un eroe che perde la vita per salvare quella del fratello. L'impostazione è fondamentalmente diversa: le dinamiche che spingono i due fratelli a combinare guai hanno origini differenti. Sono libri o film che fanno riflettere: bisogna andare al di là delle apparenze, entrare nella psicologia dell'altro per non giudicarlo. Se il libro riportava la figura di un padre severo, preoccupato per la salute del piccolo e per l'incapacità di comprendere del grande incastonata in un fine Ottocento severo, ligio alle regole delle buone maniere, il film, di cui lo sfondo è il 1957, trae un quadro sciolto riguardo alle regole, più attento ad un amore eroico di cui si ritiene capace anche un ragazzo di nove anni.

sabato 10 settembre 2011

Radicati in Cristo


Radicati in Cristo. È importantissimo fondare la propria spiritualità su Gesù, essere radicati in Lui. Bisogna ripartire da Lui. Le lotte sono inevitabili: chi vuole cambiare la propria vita, deve prepararsi alla tentazione. Le guerre sono estenuanti. Nei salmi e nell’Antico Testamento, riecheggia spesso la figura del Dio degli Eserciti, il Dio che lotta accanto al suo popolo. Chi si è impegnato spiritualmente, sa bene che per giungere ad una meta, bisogna lottare strenuamente.  Non si può pretendere di conquistare le virtù comodamente, averle già pronte sul vassoio d’argento, magari servite dal cameriere. No, per niente. Chi desidera camminare nella via della virtù comprende benissimo che il suo primo nemico è proprio se stesso, non sono gli altri. Così come il vizio, anche la virtù deve radicarsi nel cuore, diventare un’ abitudine piacevole che soppianti quelle cattive e la virtù purifica l’occhio, fa vedere le cose in modo positivo. Sebbene mi accada qualcosa di negativo, m’imbatta in una situazione difficile, anche se la sofferenza è inevitabile, la vedo in modo ottimista e relativo. Purtroppo la nostra umanità è profondamente ferita e ci conosciamo talmente poco che tante cose di noi ci sfuggono. Meniamo colpi in aria, non sicuri del nostro bersaglio e il disorientamento ci provoca non poco disagio. Siamo misteri a noi stessi. Le parti più recondite sono a noi sconosciute… sono come cani che dormono, pronti ad aizzarsi ad ogni movimento sospetto. Una volta il santo Curato d’Ars, domandò al Signore di far luce dentro di sé per conoscere meglio i suoi difetti. Lo accontentò ma egli rimase attonito: i difetti erano talmente tanti, che una vita non sarebbe bastata per superarli. Ovvio, l’unico perfetto è Dio, ma se davvero conoscessimo lo stato della nostra anima, poveri noi, saremmo tentati subito di scoraggiamento! L’anima nostra è talmente fragile che siamo soggetti ad ogni vento contrario della vita. E se rimase attonito il santo curato d’Ars, figurarsi noi che non siamo santi come lui! Dio sa che se conoscessimo bene la nostra interiorità ci scoraggeremmo e non riusciremmo a muovere più un passo. Allora permette che queste zone dello spirito rimangano in ombra e facciano sentire il loro dolore al momento opportuno, quando riusciremo a superarle o almeno a combatterle valorosamente. Dio è Padre: quando sentiamo il dolore, sappiamo che il nostro spirito esige la medicina adatta per quel tal male. La medicina non è quasi mai piacevole, ma a volte è un salvavita, spesso accompagnata da un atteggiamento di rinuncia. Ad esempio quando si ha la pressione alta, si assume un farmaco che la faccia scendere, ma tale medicina deve essere accompagnata da una dieta parca di sale. Il medico per eccellenza, rimane Gesù e la nostra fede nei suoi confronti e la dieta accompagnante è la mortificazione. Il medico senza la fede non può nulla! Pensate che tanto tempo fa, un gruppo di psicologi hanno fatto alcuni studi sull’effetto di taluni farmaci e sull’effetto placebo. Ad alcune persone, convinte di assumere un vero e proprio farmaco contro il dolore che provavano, è stato somministrato una pseudo pastiglia, fatta di zucchero o materiale che non aveva nulla a che fare con i medicinali chimici. Ebbene, quelle persone ne hanno sentito il benefico effetto ugualmente, e si sono sentite guarite. In questo caso, ovviamente è stato un condizionamento psicologico, ma ne dice molto sull’atteggiamento ottimista e fiducioso di una persona di fronte alle difficoltà. Gesù nel corso della vita ha guarito e liberato dal male numerose persone. Avrà pietà anche di noi e ci libererà dai nostri difetti, sicuramente… e se non accadrà nulla, vorrà dire che il nostro esercizio principale, sarà quello di sopportarci, accettarci come siamo, pensando che dobbiamo fare lo stesso lavoro anche con gli altri. A noi piace infatti, essere accettati dagli altri, dobbiamo quindi accettare gli altri. Accontentandoci di noi stessi, riusciremmo ad accontentarci anche degli altri. I nostri difetti allora, possono diventare quell’esercizio di carità fondamentale che corroborerà il nostro spirito.

giovedì 8 settembre 2011

Espressione d'affetto del papa


Abbiamo parlato della figura carismatica di Giovanni Paolo II, comunque criticata agli esordi della sua missione. Proprio perché la gente, in generale, è abituata a notare sempre la parte negativa e a farla primeggiare sulla parte positiva. Se abbiamo un bicchiere semipieno, notiamo subito che manca dell’acqua e ci cominciamo a lamentare di quello. Non riusciamo ad accontentarci dell’acqua che il bicchiere contiene: la nostra attenzione è là: manca metà bicchiere di acqua. Rischiamo di fare così con il nostro prossimo. Notiamo subito i difetti… ma i pregi?
Papa Benedetto XVI ha subito le critiche della gente; oltretutto è salito al pontificato in un momento assai delicato della Chiesa. Di fronte alla carica esplosiva di Giovanni Paolo II, si lamentano della rigidezza di Benedetto XVI… Ma se è vero che non è il carattere che santifica, ma l’amore, chi siamo noi per criticare il papa voluto da Dio? Ognuno si è santificato con il suo carattere, vivendo il suo tempo. Alcuni santi, come ad esempio san Francesco, si ammirano per la loro umiltà e in nome di questa non sono voluti diventare sacerdoti; altri, come ad esempio padre Pio, pur essendo molto umili, hanno abbracciato il sacerdozio tramite il quale hanno fatto tanto bene nella Chiesa. Ci sono stati santi che si sono fatti tali compiendo grandi penitenze, altri ai quali i superiori le hanno impedite. Ma quali erano migliori? Tutte e due le categorie. E poi, se noi ascoltiamo nuovamente le prediche di Giovanni Paolo II, ci accorgiamo subito che erano molto forti e rigide: non mandava a dire le cose o parlava usando metafore! E doveva fare così! Certe cose vanno dette, anche se fanno male. La Verità va proclamata sui tetti e Giovanni Paolo II, sebbene non avesse la nomea di  teologo come Benedetto XVI, lo fece senza timore e, in pratica, disse le stesse cose! Dopo la sua morte si sono scordate e ha preso sopravvento l’idea della sua apertura e giocondità; oppure c’è stato qualcuno che ha preso troppo a cuore l’ufficio di avvocato del diavolo, ostacolando la sua beatificazione. Si va, come il solito, da un eccesso all’altro.
Ritornando alla Giornata Mondiale della Gioventù, la sera della veglia, come tutti sanno, scoppiò un temporale terribile. Caldo e nubifragi non sono mancati. Sembra quasi che il diavolo si scateni, interponga ogni ostacolo all’attuazione dei progetti di Dio. Dio però è molto più forte e quindi vince sempre. I giovani sono rimasti, inzuppati, e hanno continuato a cantare i loro slogan al Papa, con indicibile entusiasmo. Sentendo questo, mi è sorta spontanea una riflessione: se fosse stata la figura di Giovanni Paolo II ad attirare i giovani, questi non avrebbero più partecipato alle Giornate Mondiali della Gioventù; o se lo avessero fatto per lui, non avrebbero continuato a incitare e a gridare il loro affetto entusiasta, con i cori da stadio: sarebbero ammutoliti, pensando che Benedetto XVI non li avrebbe accolti. No, non andavano per Giovanni Paolo II: forse la sua figura ha contribuito all’inizio di queste manifestazioni ad attirarli, ma i giovani sono andati per cercare solamente Cristo. Mi ha consolato, e anche un po’ “inorgoglito”, sentire che la presenza dei giovani italiani è stata cospicua. Speriamo che la nostra nazione si risvegli dal letargo spirituale ed i giovani concretizzino nella loro vita il messaggio udito dal papa in quei giorni particolari. Certo, non tutti hanno potuto partecipare di persona, ma il desiderio di essere presenti sarà stato condiviso da tanti che sono rimasti a casa e hanno seguito con trepidazione gli eventi. Questa Giornata dovrebbe far riflettere il mondo. In un mondo sempre più dimentico dei valori fondamentali dello spirito, scivolato in un’apostasia e indifferenza terribile, rammentiamoci che l’uomo non può soddisfare solamente i suoi bisogni materiali, ma deve badare soprattutto allo spirito, allora scoprirà l’essenza della gioia e la sua sublimità. Il mondo dovrebbe interrogarsi sui valori spirituali, domandarsi per quale motivo, a distanza di più di 2000 anni, tante persone sono attirate dal fascino di Cristo e del Suo messaggio.

Ebbene ritorniamo ai nostri giovani inzuppati di pioggia. Anche il Papa lo era: la sua papalina aveva preso già il volo. Chi stava accanto a lui, lo incitava ad andarsene, tutti preoccupati per la sua salute. Ma egli, con il suo sorriso disarmante, ha risposto: “Se rimangono loro, rimango anch’io”.

Questo dimostra che pure lui ama i giovani tanto quanto Giovanni Paolo II. Ognuno ha il suo modo per esprimere l’affetto che dipende dall’educazione, dall’ambiente in cui si è vissuto e dagli eventi che hanno interagito nel corso della vita. C’è chi è più portato a manifestazioni espansive e chi ad altre più riservate.

mercoledì 7 settembre 2011

Il rimprovero degli anziani ai giovani



La situazione di coloro che appartengono alla generazione passata non è diversa di molto da quella dei giovani di oggi. Se i giovani di oggi non hanno conosciuto realtà differenti, gli anziani, che hanno vissuto tre epoche diverse e hanno assistito a questo lento mutare della società, si dibattono in un ricordo nostalgico del passato, non apprezzano il tempo presente ma, nello stesso tempo lo vivono intensamente, storditi dall’ingente ricchezza. Un po’ come può accadere ad un povero che tutt’ad un tratto diventa milionario. Non sa più cosa fare, come impiegare i soldi, e, molto probabilmente sarà spinto a finirli in breve tempo. Non è vero che gli anziani, i figli dell’altro tempo, non usufruiscono del frutto del tempo odierno. Se non lo fanno è perché non ne comprendono i meccanismi. Ciò che è rimasto loro è lo schema rigido di leggi morali inculcate loro dalla famiglia… Ma leggi morali condivise, all’epoca, quasi da tutti. Condividono a grandi linee queste leggi, perché se vivessero quello di cui hanno tanta nostalgia, forse i giovani s’interrogherebbero su alcuni punti fondamentali del vivere quotidiano. Ma come non si può fermare il lento corso della marea, così non può arrestare questo lento migrare senza meta, così disorientato, senza più punti fermi, perché la libertà di scelta stordisce l’intelletto. Allora gli anziani rimproverano i giovani, mentre assaporano il frutto del tempo moderno, rinfacciando loro il benessere che vivono, senza comprendere che se si rimprovera, devi prima vivere il tuo ideale, altrimenti disorienti l’altro senza educarlo. Un po’ come se uno con lo stomaco pieno, grasso da non dirsi, rimproverasse un giovane, magro da far paura, di avere tutto, e gli rinfacciasse di non avere mai avuto fame: che diritto hai di redarguire quel giovane se tu sei talmente grasso da non entrare dalla porta? Vuol dire che non condividi il tempo attuale a parole, ma ne desideri intensamente i frutti.


martedì 6 settembre 2011

I giovani di oggi


I giovani di oggi quindi non sono tutti degli scansafatiche. Bisogna anche comprendersi leggendo la loro realtà nel contesto della società attuale e la società attuale, è stata preparata dalla generazione precedente. Correnti di pensiero che diventano modo di agire, modo di essere di intere nazioni e popoli… e quando si vive una realtà e si è immersi in essa, difficilmente si possono estrapolare da sé quegli elementi di condanna che disorientano le generazioni passate. Come avviene per il progresso tecnologico che si dimostra di una rapidità impressionante, così avviene per il cambio di generazioni. Il cambio è così rapido che rischiamo di trovarci in una babele, non solo di lingue ma persino di pensieri.
Quando frequentavo le superiori, pensavo che i filosofi non avessero nulla a che fare con la nostra vita, gente che trascorreva il tempo a pensare a cose prive di significato. Invece, hanno trasformato il mondo! O lo hanno distrutto o lo hanno “redento”! mistero! 
Eppure è così. Stiamo vivendo tempi molto difficili che ci costringono a stare con il fiato sospeso, in attesa di una fine drastica o di qualcosa che darà una svolta positiva. Ma se guardiamo indietro, vediamo che ciò che ci siamo lasciati alle spalle, non è veramente poco. Il secolo precedente fu insanguinato più che mai, irrorato di sangue innocente e scosso da una pazzia intollerabile. Se noi pensiamo che stiamo vivendo un inferno, figurarsi coloro che erano rinchiusi nei lager nazisti. Quale può essere stata la loro speranza nel futuro di loro stessi, del popolo, del mondo? Sembrava che i pazzi prevalessero su coloro che desideravano “liberare” il mondo. E poi vediamo la nostra realtà. Ci sono ancora paesi che soffrono la tirannia di persone senza scrupolo, assetate solamente di potere!
La filosofia, quella materia che sembrava inutile, ha trasformato il mondo. Vedete quindi, come sia importante la prima educazione per un bambino, data dalla famiglia! Se la filosofia di un solo uomo ha trasformato il mondo dandogli le apparenze di un tiranno sanguinario, possiamo immaginare come la filosofia di una coppia di genitori incida nel modo di pensare di un bambino, destinato a ricevere numerosi imput dal mondo esterno e quindi spinto a modificare i suoi schemi mentali e razionali. Incideranno anche fatti casuali che plasmeranno la sua psicologia e la sua razionalità: l’uomo adulto è il prodotto di tutte queste incidenze.
Il mondo moderno, frutto di una sete inestinguibile di libertà, perché plasmato e formato da una tirannia che sembrava dover ingoiare il suo futuro, non dà particolare importanza alle regole: non deve essere imbrigliato in ragionamenti o schemi che sembrano volerlo chiudere nuovamente in pensieri retrogradi, tiranni e assassini. Chiuso in un lager, passato il tempo in cui nemmeno gli pareva di essere libero di pensare e di scrivere e quindi si barcamenava ancora in cerca di regole che scandissero la propria vita, il mondo si ritrova totalmente libero, disorientato, immerso nell’epoca delle grandi democrazie, in cui il popolo può liberamente dire la sua riguardo ai governanti e agli stili di vita….

Ma è come un uccellino che tutto ad un tratto si ritrova libero di volare. Costretto dapprima in gabbia, rifornito comunque di tutto, c’era qualcuno che pensava per lui, che pensava a lui. Adesso,liberato, non sa bene che strada percorrere: libero, ma intontito dalla troppa libertà, non riesce ad avere un’idea personale. Continua a vivacchiare guardando gli altri per imparare a volare, desiderando possedere un suo stile, ma, nello stesso tempo, assumendo lo stile altrui.

Così i giovani di oggi, sono frutto di questa mentalità, liberata dalla tirannia del passato, da regole ferree o da un povertà eccessiva. La generazione passata che si barcamenava non sapendo bene se fosse ancora libera o meno, è già passata: assetata di libertà, ha restituito ai suoi figli un mondo privo di regole e li hanno cresciuti senza dare loro alcuna imposizione. È ovvio che, pur accettando Cristo, usano fatica ad accettare la dottrina della Chiesa: sembra che si voglia imporre loro nuovamente quel giogo tiranno, eco del periodo fascista -  nazista.
Ma la sete di Dio c’è ancora. Hanno nostalgia di quella Patria che è il Cielo.

lunedì 5 settembre 2011

La Chiesa e le aspettative per i giovani


È terminata da poco la Giornata Mondiale della Gioventù e nelle radio cattoliche se ne parla ancora. 
Prima di tutto penso sia importante riflettere sia sulla struttura della Chiesa e delle singole Parrocchie e associazioni che sui giovani in generale. Come ho commentato in alcuni post precedenti, nella Chiesa, in questi ultimi anni, sono mutate molte  cose. Difficile raccoglierle in un unico post. L’argomento è molto ampio e riguarda pure la società odierna. 
Ho affrontato precedentemente il discorso delle vocazioni specifiche dicendo che il prete non si deve conformare alla mentalità del secolo, ma deve essere chiaro che lui rimane consacrato a Dio ed un consacrato deve riflettere il pensiero di Dio, pur nelle sue debolezze.
Che cosa cercano i giovani? Sì, quando parliamo dei giovani di oggi, li immaginiamo ai crocicchi delle strade, uniti fra loro solamente dalla trasgressione e da vani divertimenti. Ci sono, però, delle consolanti eccezioni, giovani che hanno speso tutta la loro vita nel messaggio evangelico e hanno saputo affrontare ed offrire la loro sofferenza per i peccatori e la Chiesa stessa. 
Benedetta Bianchi Porro seppe accettare e vivere felicemente la sua condizione di malata grave. S’impegnò negli studi di medicina fino a quando la malattia, paralizzandole le gambe, glielo impedì irrevocabilmente.
Chiara Badano, ragazza sportiva e generosa, che dovette affrontare a soli 17 anni la dura realtà del cancro, rinunciare, quindi, a tutti i suoi progetti proiettati nel futuro ed accettare la malattia offrendola serenamente al Signore.
Mario Filippo Bagliani, anche lui stroncato da un melanoma che gli ha aperto le porte del cielo a soli 19 anni appena compiuti, è riuscito a desiderare ardentemente l‘eternità e a vivere la malattia offrendola per tanti coetanei lontani dalla fede e dalla Chiesa.
Carlo Acutis, morto a soli 15 anni, stroncato da una leucemia in soli 10 giorni, offrì continuamente la sua vita in sacrificio di soave odore, giungendo alla malattia e alla morte ormai pronto per l‘eternità. 
Per attirare i giovani si pensa di trasformare le parrocchie in luoghi di divertimento, per assecondare il loro spirito pieno di vita; in luoghi in cui esiste solamente lo sport e divertimenti di vario genere.
Tempo fa ho fatto esperienza degli oratori della Liguria. Sono realtà edificanti dove i bambini e i giovani imparano il rispetto fra  loro, a giocare insieme seguendo alcune regole. Una bella realtà. Non si gioca di testa propria, si gioca tutti insieme, cercando di vincere quell’individualismo che lacera la società di oggi. Oltre il divertimento, però, si andava oltre: c’era il momento di spiritualità in cui si parlava della Parola di Dio che i ragazzi avrebbero ascoltato il giorno seguente. Non era impostato tutto sul gioco. Quando si è organizzato un incontro con i ragazzi dell’oratorio della cittadina di Arona in Lombardia, sono rimasta ancora più edificata: erano sicuramente impostati meglio di quelli liguri. Si curava maggiormente la preghiera e il cammino spirituale… e gli oratori ad Arona traboccavano di giovani! Partecipavano attivamente alla Santa Messa, così come partecipavano ai giochi chiassosi e sereni del sabato pomeriggio…
Il prete non deve aver timore di offrire ai giovani momenti di spiritualità solamente per paura di perderli definitivamente. Deve lanciare questa sfida…. I santi, riguardo all’attirare gente, ne hanno inventato delle belle. Il santo curato d’Ars, chiamava i fedeli che stavano fuori dalla chiesa e li invitava ad entrare. Non trasformava di certo la chiesa in cinema o auditorium. Laddove non riusciva con la sua persona, attirava con la preghiera. La gente, infatti, che non aveva più varcato la porta della chiesa, s’incuriosì vedendo che il loro curato aveva sempre la luce accesa… Cosa mai faceva chiuso là dentro? Ebbene, il santo curato d’Ars, mandato in una cittadina sperduta dove il Vescovo sapeva bene che i fedeli non frequentavano la chiesa, pregava per le sue pecorelle, con una perseveranza commovente. E piano piano, attirati dal suo invito, dal profumo di santità che emanava la sua persona, i fedeli cominciarono ad imparare nuovamente la strada della chiesa. Non aveva timore il santo curato d’Ars di invitare in Chiesa a pregare e, quindi, di essere dileggiato per quello…
Questo è uno dei tanti esempi, di uno dei numerosi santi che hanno saputo attirare la gente con la loro santità.
Forse perché ci si sente indegni di diventare santi, sembra di osare troppo, i preti preferiscono adeguarsi loro alla mentalità del mondo, piuttosto che sfidare la società di oggi con modelli nuovi risalenti all’unico modello per eccellenza: Cristo… Che ancora affascina, ancora chiama giovani da ogni parte del mondo. Forse i giovani europei sono diventati più sordi all’appello cristiano, ma sono pure i membri della chiesa che non offrono, qualche volta, un modello coerente di vita con il credo che professano. Eppure i giovani continuano ad essere assetati di Dio, come una volta. E gli esempi che io ho citato, bastano e avanzano. Ce ne sarebbero tanti altri. San Domenico Savio… Santa Teresina di Liesieux… E forse, oserei dire, che si sono santificati più velocemente di chi ha vissuto una lunga vita.
La risposta di tanti giovani alla Giornata Mondiale della Gioventù dovrebbe far riflettere: non sono andati in cerca di assordarsi della musica della discoteca, o di giochi chiassosi, sapevano bene che sarebbero andati incontro a sacrifici di ogni genere, per seguire il Papa, quel Papa tante volte accusato di chiusura mentale, da menti piuttosto atrofizzate, che non riescono a comprendere che Benedetto XVI non può comportarsi come il suo beato predecessore.
Credo che egli abbia dimostrato, invece, una grande umiltà nell’accettare un incarico così gravoso qual è la guida della Chiesa di Dio, dopo una figura così carismatica che era Giovanni Paolo II. Certamente… Agli inizi del suo pontificato, fu criticato anche lui… 
Si diceva che era un Papa politico perché s’ingeriva dei fatti della Polonia… e che girava troppo… Sempre in viaggio, ma che povertà mai dimostra la chiesa? Ma, intanto, ha cominciato a fiaccare colpendolo al cuore, un Regime che aveva fatto numerose vittime, ancora non accertate. Un Papa che voleva incontrare i grandi della terra perché sapeva bene che il benessere spirituale e materiale di una nazione, dipende di gran lunga da chi è a capo. Un papa che usava anche l’astuzia per confondere il proprio governo per ottenere ciò che lui desiderava. E lo fece proprio quando si recò al Conclave, nel quale fu eletto papa. Si fece vedere bello tonto… Tontaggine che tolse ogni esitazione al capo comunista della Polonia nel dargli il permesso di recarsi a Roma per il Conclave. E  quasi suscitò poi l’ilarità dello stesso capo: “Ma come, non era tonto? Lo hanno eletto papa!”
Era molto astuto, spiritualmente parlando: ha saputo far fruttare i suoi talenti, la sua ilarità, la sua giocondità per trascinare la folla. E fu proprio lui ad istituire le Giornate Mondiali della Gioventù. Fu un successo: a questo papa che sapeva fare battutine al momento giusto e che nella vecchiaia sapeva dondolare il bastone al ritmo della musica, risposero milioni e milioni di giovani da ogni parte del mondo.

Ebbene, Benedetto XVI accettò questo incarico gravoso, con un’umiltà straordinaria, sapendo bene che sarebbe rimasto nell’ombra, criticato e confrontato a Giovanni Paolo II. Lo elevò agli onori degli altari e continuò la sua linea. In fondo… le stesse persone che avevano criticato Giovanni Paolo II, avevano affollato piazza san Pietro a Roma quando lui morì. Questo per dire come vanno le opinioni della gente. La sua morte ha cancellato anche le ultime critiche, critiche che lo hanno inseguito anche sul letto di morte: “Ma come… Sta così male e non lascia lo scettro del comando della Chiesa!” 

Bisogna riflettere su queste cose, non è tempo perso. È vero, mi sono dilungata un po’ e sono andata a parlare di chi ha istituito le Giornate Mondiali della Gioventù, ma è un po’ come andare al cuore di queste: chi le anima, ne diventa proprio l’anima…
Quindi, i giovani di oggi sono ancora aperti al discorso spirituale, forse non si dà loro abbastanza fiducia. Non tutti risponderanno positivamente, ma probabilmente la maggioranza, sì.

venerdì 2 settembre 2011

Umiltà

Condizione necessaria affinché l'uomo diventi santo è l'umiltà. Sì, perché la carità è un attributo specifico ed esclusivo di Dio. Lui è il nostro Sole, una stella che brilla di luce propria; noi siamo quelle piccole stelle che ne ricevono la luce e la riflettono pallidamente. Nostro compito è comprendere che tutto riceviamo da Lui e che nulla ci è dovuto. Nulla costringerebbe la mamma a dare da mangiare al suo piccolo se non quell'amore che la lega a lui. Così, nulla costringe Dio a donarci le cose spirituali e materiali, se non l'amore, lo Spirito Santo. E' evidente che solamente se si comprende la santità di Dio si possiede l'umiltà.
Solo se si è umili si comprende la propria piccolezza e quindi quella degli altri ai quali si è più propensi a perdonare e a comprendere..
Il timor di Dio è pur sempre un dono importantissimo dello Spirito Santo, dono dal quale nasce il rispetto di Dio. E' capitato anche a me: non avendo mai sentito nelle prediche che bisognasse avere paura di Dio, mi sembrava molto strano che fosse annoverato tra i doni dello Spirito Santo. Eppure lo è. Quando avevo domandato che cosa fosse questo timor di Dio, mi avevano risposto che era il "rispetto di Dio". No, non è propriamente questo. 
Dal timore nasce il rispetto di Dio. Quando infatti proviamo timore per una persona, usiamo tutto il rispetto possibile, pure negli atteggiamenti esterni. E dobbiamo avere il rispetto per Dio, glielo dobbiamo. E' il nostro Creatore. Bisogna però, avere fiducia nella misericordia di Dio: è bene avere consapevolezza dei propri limiti ma avere pure fiducia nella sua infinita  misericordia. Fiducia ed umiltà sono i due pilastri fondamentali della nostra vita cristiana. Il timore senza fiducia serve a nulla. Non ha importanza cadere, l'importante è sapersi rialzare.