sabato 27 marzo 2010

Il volontariato al Piccolo Cottolengo

Ho letto un articolo su una rivista di due ragazze disabili e questo, mi ha riportato al periodo in cui feci il volontariato al Piccolo Cottolengo. Era un periodo particolare della mia vita, un periodo strano e, nel contempo, gioioso. Nel mio cuore stava per esplodere la primavera. Già, stavano spuntando le tenere foglie verdi, di un verde nuovo, brillante e lucido. La mia anima si stava risvegliando, il sole dell'amore di Dio fece spuntare i delicati fiori. Tutto sembrava sorridere. Il Parroco, un sant'uomo, mi aveva indirizzato al Piccolo Cottolengo per fare un'esperienza di volontariato. Agli inizi avevo parecchie reticenze, avevo, infatti, timore di non farcela. Ero abituata al contatto con la sofferenza, anche dei bambini, ma là, la sofferenza assumeva un volto deformato, un corpo costretto all'immobilità. Mi feci accompagnare da una mia amica, sentivo di essere molto agitata. Appena entrammo, vidi alcune persone anziane, fisicamente "normali", e sperai che mi avrebbero indirizzato in un reparto che ospitava queste...Ed invece, la responsabile dell'Istituto mi mandò proprio dalle "bambine" . Ho messo bambine tra virgolette perché, di bambine vere e proprie, ce n'erano due. La più anziana era sui 60 anni. Forse l'ho già raccontato: il mio cuore si strinse, soprattutto quando questa mia amica ed io ci fermammo davanti alla porta del reparto degli Angeli Custodi e sentimmo delle urla...Non certamente urla di gente arrabbiata, ma di gente straziata dalla sofferenza...Mi feci coraggio e varcai la soglia timidamente. Compresi ben presto che, in realtà, chi ricevette molto ero io. Da quel giorno, varcavo la soglia di quel luogo di speranza ogni sabato e domenica. Non era un girone dell'inferno come mi ero immaginata, ma era un luogo di speranza e scuola di felicità...Persone menomate che sapevano dire di essere felici e, ancor più, lo testimoniavano con il sorriso. Molto meglio delle persone sane che spesso hanno un'espressione imbronciata e, della vita, non sanno gustare la gioia.

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