Come ricordavo nel precedente post, una mia amica mi ha fatto riflettere nuovamente su un argomento abbastanza complesso e delicato: anche i nostri pensieri saranno svelati nell'eternità. Davvero, un argomento delicato che getta le basi per un interrogativo importante: qual è il confine tra un semplice pensiero e il peccare con i pensieri? E' qui che sta la vera questione. Si tende a minimizzare l'azione del pensiero, ma se andiamo a vedere, il pensiero influenza il modo di vivere di un'intera nazione trascinandola nella pura follia. L'ho detto tante volte: il pensiero si traduce molto spesso in azione. Esso deve passare attraverso il filtro della ragione che deve essere ben educata, evangelizzata anch'essa. Penso che se il pensiero passi attraverso una ragione educata malamente, esso si concretizzi in un'azione di peccato, al contrario, se passa attraverso una ragione evangelizzata, esso, seppur sia negativo, prenderà la strada della bontà: magari dapprima avrà l'ardore di un torrente in piena, ma poi sarà domato dagli argini costruiti ai suoi lati, cioè dalla ragione evangelizzata. Quindi bisogna vigilare sui propri pensieri, domarli e condurli per le vie del vangelo, ricordando che, quando si recita il Confiteor, la prima cosa che si dice è che si è peccato in pensieri. Ma davvero si è convinti di ciò che si dice, oppure si recita una formula voluta dalla liturgia e che, in realtà, dobbiamo sul serio pentirci dei nostri peccati, prima d'immergerci nel mistero/segno della presenza reale di Cristo nell'Eucarestia?
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