domenica 18 agosto 2013

Decentrarsi

La ginnastica preferita del cristiano dovrebbe essere quella del trasferimento dell'interesse personale verso il proprio io all'altro. È un esercizio da compiere, difficile ma entusiasmante. Non intendo che bisogna interessarsi dei fatti altrui che sarebbe semplicemente soddisfare la curiosità, ma comprendere gli altri per intuirne le dinamiche spirituali e psicologiche. 
Per comprendere le dinamiche della Fede, devo saper uscire da me stessa. Alcuni studi di psicologia hanno affermato che si trasferiscono sugli altri i propri sentimenti ed emozioni, senza comprendere che l'altro ha un vissuto differente che lo caratterizza e che perciò sente diversamente. Ad esempio se io sono pauroso, tenderò a vedere quest'emozione negli altri. Questo vale per tutti i difetti: se sono bugiardo, penserò che tutti mi tendano tranelli e che m'ingannino, semplicemente perché io lo faccio
con gli altri. Negli altri vediamo i nostri difetti!!! strano ma vero. È così. Il più delle volte ciò che assolutamente non riusciamo a digerire negli altri, lo abbiamo noi. Taluni hanno detto che gli altri sono lo specchio della nostra anima... forse anche a proposito di questo. Non solo... prendiamo il vangelo e le parole di Gesù: “gli occhi sono lo specchio dell'animo”. Vero, qualche volta vediamo la realtà in modo distorto, catalogandola secondo le nostre sensazioni e esperienze e questa valutazione può essere errata. Per tal motivo la correzione fraterna è molto difficile da compiere: potremmo vedere nell'altro la proiezione dei nostri difetti. Essa esige una preghiera intensa e un amore vero e puro verso l'altro. Per comprendere Dio, bisogna uscire da se stessi. A lui spesso attribuiamo una severità nei nostri stessi confronti che lui non ha. Dovremmo capire che per leggere il vangelo abbiamo bisogno dell'aiuto di Dio, quindi dello Spirito Santo. Come si può pretendere d'interpretare le Scritture, quando queste raccontano un'altra Persona, con un'altra mentalità, mentalità che non è la nostra...
Vi sembra strano? Eppure noi fra le righe del Vangelo, vogliamo vedere il nostro volto e le nostre sensazioni e sentimenti. Non è così. Come si fa a comprendere Dio se siamo imbevuti di noi stessi?

Essere come bambini

Il Vangelo di ieri ci esortava a diventare come dei bambini. Interessante meditare su questo e sui vari risvolti delle affermazioni di Gesù. Esaminiamo quest'affermazione dal punto di vista psicologico.
Di solito un bambino di una famiglia normale è portato ad amare i propri genitori, in quanto ha bisogno di loro e loro soddisfano  tutte le loro necessità. Si è però notato che il bambino proveniente da famiglie disastrate dove viene maltrattato, tende comunque a giustificare i genitori, semplicemente perché li ama. La cultura di oggi fatica a concepire un Dio che punisce, eppure nessuno si sogna di cambiare la formula dell'atto di dolore: “ho meritato i tuoi castighi”. Il castigo, infatti, ha come obiettivo quello di rendere casto, ovvero puro, senza macchia. Il genitore non ama castigare il proprio figlio, così come l'insegnante non vorrebbe usare maniere forti. Eppure talvolta si rendono necessari perché la dolcezza porterebbe a un comportamento errato e quindi ad una tristezza dell'animo. Quindi è d'uopo il castigare. Dio permette, perciò, alcuni dolori nella vita per castigare, cioè rendere puro il cuore. Come il bambino che riceve percosse dal genitore, lo ama comunque, noi dovremmo amare sempre Dio, sebbene permetta nella nostra vita qualche dolore. Perché, talvolta, permette invece che soffra un innocente? Questo un insegnante lo capisce bene! Spesso si chiede di fare delle commissioni proprio a quegli alunni che si mostrano generosi. Si chiede a loro perché è più facile strappare un consenso. Non si può chiedere ad un alunno che spesso dice di no anche quando gli si domanda di compiere piccole cose, di pulire un'aula intera. Prima lo si educherà a pulire lo scaffale, recalcitrerà nel farlo, poi dopo averlo ottenuto riuscirà a donare più tempo e dedizione. Ecco perché ai santi accadevano molte più cose dolorose. Dio in quel momento aveva bisogno che gli donassero quella sofferenza per purificare qualche altra anima.
Torniamo perciò all'esortazione di Gesù di diventare come bambini. Chi ha avuto a che fare con i bambini sa quanto qualche volta siano capricciosi! Gesù non intendeva asso
lutamente dire agli adulti di diventare capricciosi. Il bambino sa che ha sempre bisogno di imparare, non ha timore a rifugiarsi fra le braccia della mamma se ha paura. Il cristiano deve essere consapevole che le braccia di Dio sono accoglienti, che lo difenderanno dal vero male, quello dello spirito. Noi umani ragioniamo spesso come uomini e il dolore maggiore è quello fisico. Non è così! Quello che ci lede è quello che rimarrà eternamente... quindi la conseguenza del peccato mortale. È quello il nostro vero male.
Il bambino, soprattutto i primi anni della vita, non sa bene la distinzione tra bene e male. Ritorniamo alla condizione originaria di Adamo e Eva. Non sapevano qual era il male, non conoscevano nemmeno il peccato. Il bambino cresce e impara imitando. Dobbiamo davvero pensare che Dio sia nostro padre, così lo imiteremmo come farebbe il bambino con il genitore. E poi il bambino desidera imparare: i suoi perché insistenti fanno perdere la pazienza all'adulto, ma per il bambino è una fase importantissima e ineludibile per saziare il suo desiderio cognitivo. Anch'io devo imparare qualcosa da Dio, sono un bambino desideroso d'imparare di concretizza l'amore nella mia vita. Questo atteggiamento è fondamentale per l'umiltà, mi aiuterà non solamente a non ritenere me infallibile, ma pure gli altri. Se accetto i miei sbagli, accetterò anche quelli degli altri.

La pace di Cristo

Le parole di Gesù riportate dal Vangelo di oggi sono chiare e inducono a riflettere. La pericope si apre con un'esclamazione da parte di Gesù che rivela il fuoco dell'amore che ardeva nel suo Cuore. Egli desiderava donare la propria vita per la salvezza dell'uomo. Aggiunge poi che non è venuto a portare la pace sulla terra. Tale considerazione sembra contraddire l'amore che lui predica, eppure è chiara. Gesù non vuole persone molli, amanti del quieto vivere. Vuole persone ardenti, che sappiano do
nare la propria vita per la fede; persone capaci di affermare le personali convinzioni anche di fronte all'ostilità altrui, senza paura di rimanere sole. Se riflettiamo alle conseguenze di tale fermezza, possiamo concludere che essere cristiani non è poi così semplice. Il nostro amor proprio, la nostra autostima talvolta si basano sull'opinione che hanno gli altri di noi. Eppure il vangelo sradica queste convinzioni umane: non è colui che riceve più plausi umani ad essere più santo, anzi... abbiate timore di voi stessi se tutti parlano bene di voi! Perché Gesù fa quest'affermazione? Perché qualcuno dovrebbe parlare male di noi?
Le risposte sono semplici. 
Se parlano tutti bene di noi vuol dire che noi assecondiamo chiunque con il nostro comportamento, anche chi non percorre sentieri ortodossi. Tutto ci va bene puramente per il quieto vivere. Se noi facciamo osservazioni, se indichiamo alla gente ciò che sbaglia, ecco che automaticamente ci rendiamo antipatici e odiosi. Non assecondiamo i loro vizi. Se non diamo fastidio, sotto sotto affermiamo che il loro comportamento incontra la nostra approvazione. In realtà non è vero, tacciamo semplicemente per il quieto vivere, ovvero per una pace fatua, falsa, pronta ad esplodere. È questo che fa affermare a Gesù che persino i parenti saranno divisi fra loro, oppure in un altro pezzo che nessun profeta è apprezzato in casa sua e nella propria patria. Ricordiamo che “profeta” non significa predire il futuro, ma parlare per qualcuno, in questo caso Dio. Il nostro comportamento non induce alla riflessione ma semplicemente si adatta alle varie situazioni. Un po' come fa il camaleonte: si mimetizza a seconda dell'ambiente in cui sta per essere lasciato in pace. Questa pace, però, è puramente egoista perché ha come obbiettivo lo stare bene personale. Un vero atteggiamento da cristiano porta a reazioni violente. Anche a Gesù è accaduto. Per amore della Verità è morto in croce. Ecco spiegata l'affermazione di Gesù: “non sono venuto a portare la pace”. Egli vuole persone che si compromettano per la fede, che sappiano mettere in gioco il proprio orgoglio, l'amore di se stessi. Per tale motivo ecco san Paolo esultare: “mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle percosse”.... vuol dire che sono un cristiano tutto d'un pezzo che per amor di Cristo, so donare tutto, persino la stima che hanno gli altri su di me.
















mercoledì 14 agosto 2013

Il dramma della fede

La fede può essere considerata il dramma dell'uomo. La fede porta l'uomo ad una esperienza drammatica. La scorsa settimana, la liturgia della diciannovesima domenica del tempo ordinario anno C ci ha proposto delle letture che ci inducono a riflettere sul dono della fede. Già, perché dobbiamo considerarla un dono di Dio ottenuto non per nostro merito, ma per la straordinaria gratuità dell'amore di Dio nei nostri confronti. Perché, quindi, considerarla un dramma? Partiamo dalla fede dell'Antico Testamento. Siamo ormai abituati a sentire il racconto della vita di Abramo. Sappiamo già come finisce la storia e cioè che Dio ferma la mano di Abramo che sta per immolare suo figlio, il figlio della promessa. Se, però, vivessimo la storia mettendoci nei panni di Abramo, vedremmo che il suo gesto è stato un atto straordinario di fede e abbandono alla volontà di Dio. Egli aveva accolto l'annuncio della nascita del suo figlio: ogni vita viene da Dio, nasce dal suo pensiero. Era il figlio che avrebbe dovuto generare una nazione intera. Dio è “il Santo”, Colui che non sbaglia mai. Abramo accoglie questo annuncio come una missione, credendo in Dio... e poi ecco che tutto si ribalta e gli domanda di sacrificare il proprio figlio, quello della promessa. Dio sta cominciando a contraddirsi. È accaduto al momento del peccato originale che ha trascinato l'umanità intera nel baratro della sofferenza e della morte. Il dubbio sulla credibilità di Dio si è insinuato nel cuore della donna, Eva, che comincia ad ascoltare la tentazione, a cadere in essa, fino a credere più ad essa che a Dio. Abramo soffre, non è detto che mentre Isacco porta la legna sul monte e gli domanda quale agnello avrebbero dovuto immolare, con la sua risposta volesse alludere al fatto che l'angelo avrebbe fermato la sua mano in tempo, prima che la tragedia si compisse. Dio, però, ferma la mano di Abramo e la sua promessa si compie. Nel nuovo testamento la fede va al di là di questo. Con la rivelazione del Figlio di Dio, il Messia, l'uomo deve sperimentare la morte. Ecco perché la fede è il dramma dell'uomo. Egli infatti non è esente da dubbi. Gesù stesso, comprendendo la sofferenza che avrebbe dovuto affrontare durante la passione, ha paura e domanda che si allontani il calice che avrebbe dovuto bere, la sofferenza. Poi, però, si abbandona a Dio Padre. Il momento tragico di ripresenta, al momento della crocifissione. Non muore tra i trasporti e la gioia, ma la croce fisica della crocifissione, gli annebbia la vista, il dolore influisce sul suo spirito che ancora una volta sospira, non avendo più parole sue: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”, parole tratte da un salmo. Nel momento della crocifissione, lui che ha rivelato il Padre stesso, stremato, usa le parole di un salmista per esprimere la sofferenza che lacera il suo cuore.
Ed ecco il punto focale del cristianesimo. Mentre Abramo viene fermato dall'angelo e Isacco non muore, Gesù, pur affidandosi al Padre ed essendo più perfetto di Abramo, deve giungere a dare la sua vita, a sperimentare la morte, non da vicino, ma proprio sulla pelle. La preghiera di Gesù che ha  provato la sofferenza del dubbio, esprime nuovamente una condizione di abbandono alla volontà del Padre: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”.
Essere cristiani, perciò, non vuol dire non passare per la selva oscura del dubbio e della sofferenza, significa saper davvero sacrificare tutto, fino alla morte vera, per risorgere in un modo che noi ignoriamo, diverso, come accadde a Gesù, con una sola certezza nel cuore: affidare il proprio spirito al Padre che ci ama, al quale dobbiamo credere. I dubbi sono inevitabili: sbagliato è acconsentire ad essi. Vero è che il vero coraggio non è non aver paura, ma saperla superare. Quindi avere fede non significa non avere dubbi, ma saperli superare veramente e non a parole, anche quando moriamo seriamente sulla croce: quando vediamo morire i nostri ideali, la nostra vita spirituale, il nostro cammino.