sabato 15 novembre 2014

Perseverare nella preghiera....

Il vangelo di oggi ci esorta a pregare incessantemente con accenti forti di speranza. Racconta infatti di un giudice disonesto che viene importunato da una vedova. Non vuole assecondare le sue richieste, ma per la sua insistenza, viene spinto a esaudirla. Ciò deve essere segno di speranza per noi. Se un giudice disonesto asseconda i desideri di una vedova che lo importuna, tanto più Dio che ci ama, se noi gli chiediamo cose buone, ci asseconderà. Chiaramente dobbiamo chiedere cose buone. Oltre a questo punto, il vangelo mi ha fatto venire in mente i “Racconti di un pellegrino”. Il pellegrino vuole attuare questa parte del vangelo, ma non sa come fare. Pregare incessantemente non è semplice. Ci lasciamo distrarre da tante cose. Pregare non significa solamente ripetere “Mio Dio, abbi pietà di me” come raccontano i “Racconti del pellegrino russo”, ma il trucco sta nel vivere l'amore ossia a trasformare la vita in preghiera. Non è così semplice... Eppure è ciò che Dio vuole da noi.

lunedì 10 novembre 2014

Il perdono


Quante volte dovrò perdonare? È la domanda che, sgomenti, gli Apostoli rivolgono a Gesù. Già perdonare una sola volta, è difficile, immaginarsi “perdonare sempre”!

Il nodo del problema sta proprio nel perdonare se stessi. Se non riusciamo ad accettare le nostre imperfezioni, non con un facile buonismo, ma con umiltà, riconoscendoci fragili senza l'aiuto di Dio, non riusciremo a perdonare né ad accettare le mancanze degli altri. È un'impresa straordinaria. Spesso e volentieri diciamo agli altri di perdonare, ma poi quando tocca a noi, tutto diventa complicato, s'ingarbuglia e ci accorgiamo che nella nostra mente si deve azionare tutto un meccanismo che, oltre alla fede, coinvolge la memoria e la nostra capacità di ragionare.
Saremo dei veri cristiani quando avremo il coraggio di perdonare sempre. Difficile la pratica, ma non impossibile: ecco la corsa verso la meta che abbiamo accennato nell'altro post. Per praticare il vero perdono, bisogna correre perseveranti verso la meta, ovvero Cristo.
Non c'è altro modo. Dobbiamo però scoprire l'amore che Cristo ha per noi, altrimenti non muoveremo un passo! Riconosciamo il suo amore. Tante volte pensiamo superficialmente che Dio ci ama, ma poi in pratica non lo dimostriamo. Egli ci perdona, sempre, anche ciò che la nostra coscienza non osa perdonare. L'amore di Dio è illimitato e ce lo dimostra pure con il racconto di quella parabola che fa fremere i nostri cuori fin nel profondo, ovvero quando ci racconta che agli operai che ha chiamato per ultimo e che hanno lavorato solamente un' ora, ha elargito la stessa paga di quelli che hanno lavorato per ore sotto il sole. Non sembra, ma questa parabola ci sgomenta: come può dare Dio anche a degli assassini il Paradiso che noi, con fatica, cerchiamo di conquistare ogni giorno, cercando di essere fedeli nella preghiera, nella pratica della Pietà?
Non osiamo dirlo, ma dentro il nostro cuore c'è una rivoluzione. Abbiamo sete di giustizia, tutti noi abbiamo sete di giustizia e quando capitano delle ingiustizie il nostro intimo freme per ottenere giustizia e non abbiamo pace finché questa non si compie davanti ai nostri occhi. Talvolta diventa la nostra speranza maggiore. Solamente che Gesù, oggi, ci esorta ad andare oltre a questa visione umana: dobbiamo desiderare che le porte del Paradiso si spalanchino anche per chi ci ha fatto veramente male, per chi ci ha distrutto completamente la vita, ha spento i nostri sogni e le nostre aspettative. Eppure Gesù ci chiede questo. Impossibile per gli uomini, ma non presso Dio a cui tutto è possibile, anche smuovere le montagne del nostro egoismo. D'altronde se guardiamo meglio dentro di noi, abbiamo tante cose da rimproverarci, troppe. Già, a volte noi siamo portati a non perdonarci ma soprattutto a non perdonare gli altri, ad essere severi, ad essere ciechi davanti ai nostri difetti.
La psicologia lo dice chiaramente: chi non si accetta, è portato ad essere critico con gli altri... e ancora ci dice che, spesso e volentieri, si presenta un paradosso: vediamo i nostri difetti negli altri e pretendiamo che gli altri si correggano.... Vi sembra strano? Eppure è così. Ad esempio pretendiamo che gli altri siano sinceri, ma non ci accorgiamo che noi stessi non lo siamo e pretendiamo, appunto, che gli altri siano sinceri, come noi non lo siamo.

domenica 9 novembre 2014

Gesù e lo zelo per la sua casa

Il vangelo di oggi ci consegna la figura di un Gesù insolito, che ci dà quasi fastidio. È il famoso vangelo di Gesù che, al Tempio, scaccia i venditori e i cambiamonete usando una frusta.
Alcuni atteggiamenti di Gesù ci possono disorientare: quando, appunto, scaccia i venditori dal Tempio, con fare piuttosto violento, oppure quando non esita a chiamare vipere e ipocriti i Farisei, Scribi e i Dottori del Tempio.
Eppure anche questi racconti fanno parte dei Vangeli. Sono fatti accaduti sul serio e che hanno fatto riflettere gli Evangelisti o gli Apostoli.
Riflettiamo sull'atteggiamento di Gesù proposto dal vangelo di oggi. Gesù afferma che hanno fatto della casa di Dio un mercato. Alla domanda esterrefatta degli astanti su chi gli dava l'autorità di fare questo, Lui risponde che è Dio con un'espressione particolare: “Distruggete questo Tempio ed io in tre giorni lo ricostruirò”.
Parlava del suo Corpo. Con questa premessa è facile dedurre che la Chiesa è il Corpo mistico di Cristo e che lui sta denunciando, non solo gli abomini che stavano compiendo in quel momento nel Tempio, ma di ciò che sarebbe accaduto poi nella Chiesa, sia come edificio che come Corpo mistico. Come ci comportiamo negli edifici adibiti al culto come le chiese o come membra della Chiesa? La meditazione assume un ampio respiro e ci coinvolge in tutta l'interezza della nostra persona.

sabato 8 novembre 2014

San Paolo e la santità


Le letture di oggi devono essere eloquenti per tutti i cristiani. San Paolo afferma di essere iniziato a tutto, di essere allenato a tutto, alla ricchezza come all'indigenza,. Tale espressione ci riporta a un'altra sua meditazione: ogni cristiano è un atleta che deve correre con perseveranza verso la meta finale per conquistare la corona di gloria che non appassisce. Per fare ciò, bisogna essere temperanti in tutto.

Paolo, santo dal carattere forte, oserei dire “difficile”, - tanto che Marco (anche lui santo) diverge talmente tanto da lui che preferisce percorrere strade differenti come ci raccontano gli atti e una lettera di san Paolo stesso, - è un gigante nell'amore, nella santità.

Ci dovrebbe consolare. Spesso spostiamo l'idea, il concetto di santità in attributi che la costituiscono ma, fondamentalmente non ne compongono l'essenza. In particolare, viene scambiata per “santità” la forza... Forse perché i martiri hanno avuto il coraggio di dare la vita per Cristo, di non vacillare davanti ai persecutori... Ma questo non esclude che abbiano versato le loro lacrime. Tutti abbiamo paura della morte, chi più e chi meno, ma il coraggio non sta nel non sentire la paura ma nell'affrontarla credendo fermamente che oltre quel salto nel buio, verso l'ignoto, esiste veramente un padre che ci ama, quello che ci ha annunciato Gesù: Dio.

La forza umana nasconde troppo spesso l'incapacità di temperare il proprio carattere, la debolezza e la diffidenza verso il prossimo (la paura) e, al contrario l'arroganza di ritenersi superiori a tutto e a tutti.

La forza vera, che costituisce la santità cristiana, ricalca la figura del Cristo che agonizza nell'orto degli ulivi durante la passione che lo condurrà a morire sulla croce: l'amore. L'amore non ha timore di chinarsi, di versare lacrime... anche di sangue.

Santa Teresina di Lisieux l'aveva compreso molto bene: l'amore era l'anima della santità!

Ritornando a san Paolo e ai suoi meravigliosi scritti, vorrei soffermarmi su due meditazioni che il santo in poche parole accenna: “Tutto posso in Colui che mi dà forza”.

San Paolo è un santo dal carattere impetuoso ma la sua grande forza, la sua santità, risiede tutta nella convinzione che è Dio che gli ha donato tutto. Il suo merito è stato quello di approfittare dei doni che il buon Dio gli ha elargito: “Per grazia
di Dio sono quello che sono”...

Ci ricorda anche che la santità richiede allenamento, non è qualcosa che si conquista da un giorno all'altro, oppure una volta per tutte. Chi pratica sport agonisticamente, sa bene che richiede molto spirito di sacrificio e temperanza che coinvolge corpo e spirito: san Paolo non poteva trovare paragone più azzeccato. Non dobbiamo pensare di non essere chiamati a tanta grazia o di essere presuntuosi a desiderarlo! È vero che chi si è impegnato seriamente nel cammino della santità, si è pure accorto che non è così semplice e che non si tratta di una cosa sensibile, ma tante volte sfuggevole e condita di amarezza. Purtuttavia dobbiamo essere convinti su quale sia la nostra meta finale, il possesso di Dio. Vi ricordate di Heidi e della sua amica Clara? Clara, paralizzata alle gambe, passò il suo periodo più difficile proprio quando comprese che poteva camminare ma che questo richiedeva molta fatica, costanza, sopportazione e accettazione della propria condizione fisica oscillante. Ella aveva capito che poteva camminare, aveva pregustato la gioia immensa che si prova ad avere il dono dell'uso delle gambe, ma la sua più grande paura era quella che fosse tutto un'illusione destinata a rimanere tale e che ciò che aveva pregustato, si sarebbe limitato a saper muovere le gambe ma non a muovere i primi passi e quindi a correre. Anche noi, come lei, se abbiamo sperimentato davvero la preghiera e quindi pregustato le gioie del Paradiso, sappiamo bene quale gioia ci attende... Ma abbiamo paura di non poterla raggiungere mai perché rimane un'aspirazione troppo alta... Noi, però, abbiamo questa grande speranza e certezza che ci deve donare delle ali d'aquila: la presenza e l'amore di Dio.... Allora saremo certi davvero che possiederemo il Paradiso!