Ritornando ai ricordi legati a Pontechianale, rammento che partivamo molto presto. Alle sei del mattino, eravamo all’inizio del sentiero che ci avrebbe portato nelle più alte vette, dove ti sembrava di toccare il cielo con un dito e di sentire l’onnipotenza di Dio, in modo così tangibile che la lode al Creatore, sgorgava spontaneamente. Il sentiero solitamente si snodava tra le verdi vallate, per poi tuffarsi in una pietraia, dietro la quale continuava come se non si fosse mai interrotto, per giungere alla vetta, da cui si poteva ammirare un panorama incomparabile. Ci fermavamo dopo un’oretta di cammino, un po’ lontane dalla strada asfaltata, in modo che il silenzio della “tecnologia” fosse assicurato. Volevamo sentire il contatto con Dio, la pace, la tranquillità. Cominciavamo con l’Angelus, per poi cantare le lodi. Quando tacevamo, sentivamo il torrente cantare, le marmotte che fischiavano e i campanacci delle mucche che erano già al pascolo. Non avevamo voglia di parlare fra noi, di tagliare con le nostre voci quel silenzio che ci riportava al Padre di tutti. Quel silenzio entrava nel nostro cuore e lo dilatava. Immergersi nella preghiera, era naturale. Amo profondamente la natura. Quando ero lontana da Dio, era l’unico elemento che mi trasmetteva tanta pace. E mi sono avvicinata a Lui proprio tramite la natura. Questo ricordo non è fuori tema. È piombato nella mia mente mentre pregavo, perché lì, tra le montagne, ho sperimentato la preghiera, il silenzio interiore, che è, sì, un tacere le proprie emozioni e sentimenti, ma anche un tuffarsi in Dio, nel suo amore. Ho allora riflettuto sui vari gradi della preghiera. Forse l’ho già fatto durante l’anno scolastico, ma alcuni avvenimenti mi hanno indotto a rifletterci ancora.
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