Il vero amore comincia
con quello verso la propria famiglia ed è da intendersi bene, perché
altrimenti rischiamo di fare un gran minestrone. Sembra scontata
questa frase, ma non lo è. Il comandamento che Dio diede a Mosè
riguardava il prossimo. “Ama il prossimo tuo come te stesso”...
ed era un grande comandamento, esplicitato e ampliato da Gesù. Per
prossimo si intendeva la propria famiglia e il proprio gruppo
sociale. Non erano compresi gli stranieri e coloro che avevano fede
differente da quella ebrea. Cominciare però ad amare quelli della
propria famiglia è il primo passo fondamentale in assenza del quale
sarebbe vacuo amare chi è lontano da noi.
La famiglia o il gruppo a
cui si appartiene è il luogo in cui esercitare la propria carità
vera, il luogo in cui ci si scontra molto spesso per divergenza di
opinioni o di stile di vita, il luogo in cui bisogna praticare per la
prima volta l'inclusività e soprattutto il perdono. Purtroppo dentro
le mura della famiglia, proprio quella di sangue, vi sono tante
gelosie, tanto sparlare dietro per spogliare il proprio
fratello/sorella della propria dignità o reputazione di fronte
all'autorità rappresentata dai genitori. Oppure vi è tanto
interesse per il quale si ritiene che passare sopra la dignità e la
felicità altrui, sia lecito. La gelosia e l'invidia sono il cancro
delle famiglie, creano divisione ed emarginazione, si feriscono le
persone fino ad arrivare a episodi di grande sopraffazione. Non è
quindi così scontato il comandamento inteso dagli Ebrei di amare il
proprio prossimo. Loro sapevano che era molto difficile. In fondo
esistono ancora Caino ed Abele e sono ancora oggigiorno il prototipo
di rapporti resi a brandelli dalla gelosia e dall'invidia. Se non si
lavora su questo punto, non si può predicare l'amore verso coloro
che sono lontani. Tale inclinazione verso gli altri è tutto meno che
amore. Infatti spesso più siamo frustrati nel seno della nostra
famiglia d'origine, più ci gloriamo e cerchiamo approvazione e lodi
riguardo al nostro operato da parte degli estranei... e giù lodi
verso noi stessi... senza accorgerci che ci rendiamo ridicoli agli
altri, ma soprattutto a noi stessi. Ci raccontiamo bugie e, mentre le
raccontiamo a noi stessi, viene automaticamente più naturale e
comunque lecito, raccontarle agli altri. Ad un certo punto non ci
accorgiamo di vivere nella menzogna, di vivere in un mondo parallelo
che non esiste assolutamente, in un mondo in cui noi siamo i geni
della situazione.
Gesù non è venuto per
cancellare la legge data a Dio da Mosè, ma per darle compimento.
L'ha detto più volte. Il compimento dell'amore è che bisogna
procedere a gradini, prima la propria famiglia, il proprio gruppo
sociale e poi gli altri. Da che mondo e mondo anche il più semplice
degli apprendimenti avviene così.
Mi chiederete e … se
siamo noi vittime di gelosia ed invidie? Perdonate... è
difficilissimo, ma perdonate, anche quando siete bistrattati dai
vostri cari... ma non lasciatevi trattare come zerbini! Dovete
dimostrare che avete perdonato non per paura di essere poi
dimenticati o messi da parte dai vostri, ma che è stata presa una
decisione sofferta, da una persona con una personalità forte, capace
di decidere e di stare da sola. Quindi perdonare non significa
lasciare che gli altri decidano per noi e ci calpestino.
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