Ma chi ha detto che bisogna parlare, parlare e ancora parlare con Dio? Gesù nel vangelo ha voluto proprio osservare questo: "Non siate come i pagani che credono di venire ascoltati a forza di parole". E' vero. Il cristiano, soprattutto quello più impegnato, ovviamente, pensa automaticamente che è doveroso terminare in giornata un intero Rosario, recitare tremila preghiere e fare altrettanti se non di più, segni della croce. No no, così non va bene. L'unione con Dio non si concretizza con il pronunciare mille parole al minuto, dire tutte le "Ave Maria" necessarie in fretta e gioire come il corridore quando vede finalmente il nastro dell'arrivo, quando si è finalmente giunti al termine. Così diventa solamente un dovere da espletare, mentre la preghiera deve tramutarsi in esigenza dell'anima, un bisogno fondamentale come quello di abbeverarsi e mangiare. Bisogna imparare nuovamente il silenzio ai piedi di Gesù, a saltare qualche preghiera per unirsi davvero a Lui, in spirito e verità. Non voglio dire con questo che bisogna tralasciare le preghiere, assolutamente no: le preghiere liturgiche della santa Messa, della Liturgia delle Ore e del Rosario sono importantissime nella misura in cui si riempiono di significato le parole che si pronunciano e vengano ruminate poi in giornata. Pure il Rosario, preghiera ripetitiva, al di là del Mistero che si enuncia, può diventare oggetto di preghiera contemplativa. La contemplazione è differente rispetto alla meditazione. Non necessariamente si deve partire dalla Parola di Dio. Basta un'immagine del Crocifisso per immergersi nella contemplazione più alta. La contemplazione permette un assaggio della vita eterna, di quello che verrà dopo, dell'attività dei santi in paradiso e solamente chi l'ha sperimentata, può comprendere effettivamente che cos'è. E' un perdersi nell'immensità di Dio, dimenticare il tempo. Si entra in una dimensione che trascende quella umana, in cui non si sente nemmeno più il corpo e si avverte che l'unico bisogno è quello di unirsi a Dio. Si comprende allora che la vita cristiana non è un "lavorare" ma un vivere nell'estasi.
L'estasi nella quale talvolta sfocia la contemplazione, è l'uscire da un sonno spirituale, da un ristagno spirituale, da una stasi spirituale per entrare nella dimensione di unione con Dio. Non si può stare fermi davanti a Dio, ma non è un lavorare come noi lo intendiamo. Tante volte il fare troppa attività è il voler soffocare la propria voce interiore e un voler stare nel rumore per paura del silenzio. Chi ha fiducia nell'amore di Dio non teme il silenzio. E fiducia nell'amore di Dio non è negare realtà dolore come il Purgatorio e l'Inferno, ma sapersi abbandonare nelle sue mani. Le anime del Paradiso quindi vivono nell'estasi, fuori da quella stasi che spesso ristagna nel nostro cuore e nella quale affoghiamo dopo aver detto tremila parole e sentirci a posto. Ecco perché il salmista esclama che è inutile fare sacrifici, alzarsi presto per dovere (intendo solo quando questi sono attuati come un semplice dovere e poi si trasgredisce alla carità), perché il Signore nutre nel sonno i suoi amici e gli amici sono coloro che si uniscono davvero a Lui...
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