“La chiave di Sara”… Un film commovente e profondo che induce a riflettere, a mettersi in discussione… un film fatto bene, capace di intrecciare il presente con il passato formando una trama precisa, ben composta. Il film lascia intuire che il passato non deve essere scordato, ma con la sua potenza mnemonica e interrogativa, deve migliorare il presente, sconvolgerlo facendolo uscire dalla routine comoda in cui talvolta rischia di rimanere invischiato.
Non so se ne avevo già parlato, ma penso sia fondamentale riflettere su di esso soprattutto di fronte agli scenari storici che si stanno presentando repentinamente ai nostri occhi. Affrontiamo brevemente la trama.
“16 e 17 luglio 1942, gli ebrei parigini vengono arrestati dalla polizia collaborazionista francese. Fra di loro c'è anche Sarah Starzynski, una bambina di dieci anni che ha nascosto il fratellino Michel in un armadio chiuso a chiave per non farlo prendere da i soldati. Sessant'anni dopo la giornalista Julia Jarmond, americana ma da tempo residente in Francia dove ha sposato l'architetto Bertrand Tézac, deve realizzare un servizio proprio su quel rastrellamento. Coincidenza vuole che Julia, il marito e la figlia si stiano trasferendo in un appartamento al 36 di rue de Saintonge, dove i nonni di Bertrand hanno abitato fin dall'agosto 1942. Al Mémorial sulla Shoah Julia apprende che in quella casa viveva la famiglia Starzynski: i genitori sono morti nel campo di concentramento di Auschwitz, ma nulla si sa dei figli Sarah e Michel. Convinta che Sara sia sopravvissuta allo sterminio, Julia ne insegue le tracce consultando archivi, intervistando i testimoni e cercando i sopravvissuti.
Molto commoventi alcune scene, ne cito alcune.
Sara e una sua amica riescono a scappare dal campo di concentramento dove erano state rinchiuse, grazie all’umanità e al buon cuore di un poliziotto francese. La sua amica, però, non riesce a sopravvivere e muore di difterite dopo essere state accolte entrambe da una coppia.
Altra scena commovente è l’amore di questa famiglia che accoglie la superstite Sara come una loro figlia e come sfidino la polizia che le intima e le fa notare il pericolo che corre qualora nascondesse veramente una bambina ebrea. Di fatto Sara si salverà grazie a questa famiglia che l’aiuterà a tornare a Parigi per vedere se il fratellino era riuscito ad uscire dall’armadio nel quale era stato rinchiuso.
Commovente, anzi straziante, quando Sara riesce ad entrare nell’appartamento, ad aprire l’armadio: troverà il corpo decomposto del fratellino.
Il senso di colpa per ciò che è accaduto al fratellino è immensa e nulla riuscirà a cancellarlo. Sara aveva compreso che lasciando aperto l’armadio, avrebbe dato un’opportunità in più al fratellino. Il fatto è che lei aveva agito d’impulso senza pensare che non sarebbe più potuta tornare in tempo. Voleva salvarlo dagli obbrobri che sentiva raccontare sui campi di sterminio.
Il punto su cui riflettere è l’atteggiamento di Julia. La vicenda di Sara le tocca profondamente il cuore, non rimane insensibile, nonostante si parli di eventi storici passati. La Storia, quella con la S maiuscola, le cambia la vita, la trasforma, l’interroga, cambiando il presente, dando l’opportunità ad una bimba che custodiva in grembo e che il padre data l’età non più giovanile, non desiderava.
Non credo sia una combinazione che La 7 abbia dato in onda questo film in questo periodo critico della nostra Storia.
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