Desideravo
riflettere sul concetto di “educazione”, una grande, difficile e
affascinante tematica che deve continuare ad interrogare le
generazioni, in particolare gli adulti che sono chiamati per
vocazione ad occuparsi dei piccoli.
La scuola
non va intesa solamente come luogo in cui si apprendono
esclusivamente nozioni culturali, ma è il luogo in cui l'uomo e la
donna crescono umanamente, psicologicamente e culturalmente,
qualunque sia il grado di istruzione. I primi anni di vita del nuovo
“uomo” (intendo ovviamente anche donna) è la scuola per
l'infanzia. L'insegnante, in questa fascia d'età, ha l'opportunità
di condurre il bambino per i sentieri giusti della sua crescita umana
e didattica. Al giorno d'oggi c'è il rischio di trasformare le
scuole solamente in luoghi in cui si apprendono nozioni, insegnare
già a bambini di 5 anni a scrivere, ma la sfida più grande di oggi
è proprio quella di inculcare il senso della convivenza civile. In
un mondo in cui l'individualismo fa da padrone, l'insegnante può
osservare come siano diventati difficilissimi i rapporti
interpersonali tra i bambini sennonché il seguire le più elementari
e basilari norme di comportamento comunitario. Il superamento di un
conflitto in modo positivo sembra in taluni casi una chimera,
irraggiungibile. Quello però di cui ha bisogno il bambino è la
fiducia da parte dell'adulto nelle sue potenzialità umane e
didattiche, in modo da poter far uscire, “condurre fuori” come
dice la parola stessa “educazione”, la sua parte buona.
Rousseau
affermava alcuni concetti che ci spingono a riflettere profondamente
e a domandarci sui nostri metodi educativi che vanno mutati in
continuazione a seconda della persona che abbiamo davanti, alle sue
potenzialità, ai suoi desideri e agli obiettivi che pure lei si pone
come traguardo.
Rousseau
pensa fondamentalmente che la società sia corrotta e, perciò, non
in grado di educare un bambino che, come ogni uomo, è
fondamentalmente buono. Credo invece che ogni uomo possieda una parte
negativa generata da alcune ferite che si possono però arginare pure
nell'età adulta, e una parte positiva che va valorizzata e aiutata a
nascere nella persona che cresce. Suscitare delle domande nel
bambino, non solamente a livello didattico ma soprattutto educativo,
sarebbe il modo più giusto per condurlo per le strade del bene. Egli
deve comprendere il valore di ogni gesto, sia giusto che sbagliato.
Questo lo aiuterebbe ad apprendere il modo corretto con cui
affrontare una situazione di conflitto che altrimenti lo
sovrasterebbe e lo spingerebbe a reagire malamente violentemente o
chiudendosi in se stesso. Essere cosciente delle proprie ferite è
molto difficile e sebbene alcuni considerino i bambini già dei
piccoli adulti, lo è soprattutto per loro che non riescono a
comprendere alcune mozioni interiori, a descriverle per sapere poi
gestirle in modo positivo. Ovviamente è un lavoro personale da
svolgere lungo tutto l'arco della vita, non si esaurisce nell'età
adolescenziale, ma si evolve ulteriormente nell'età adulta. L'uomo è
in continua evoluzione, e questa è una grande speranza perché una
situazione, seppur disperata, non è mai statica. Non si può,
insomma, stare fermi: o si va avanti o si torna indietro.
Aveva
ragione in questo caso Rousseau: bisogna rispettare l'infanzia nella
sua gradualità. Verissimo: non si può pretendere da un bambino un
comportamento da adulto. La sua psicologia, intesa come schemi
mentali da applicare in date situazioni e la flessibilità che ne
dovrebbe derivare, deve uscire da un egocentrismo esasperato che non
aiuta il bambino a vedere i bisogni degli altri per poterli poi
integrare con i suoi. Ogni età è una tappa importante. L'insegnante
deve saper osservare il bambino, il suo comportamento, per poi poter
applicare uno schema educativo flessibile. Rousseau, inoltre,
affermava che l'educazione deve formare l'uomo e non solo sviluppare
delle abilità. Molto vero. Ma la cosa che volevo aggiungere è
questa. Non ricordo più chi fosse quel pedagogo che aveva affermato
che per insegnare qualcosa a un bambino o adolescente, bisogna fargli
prima sentire di essere amato. È un po' lo stesso discorso di Gesù
fatto 2014 anni fa: la pecora ascolta la voce del suo pastore e lo
segue, ma fugge da chi le fa del male. Se il giovane sa di essere
amato, accetterà le critiche costruttive da parte dell'adulto.
Parimenti, l'adulto che è chiamato a educare, dovrà essere lui
stesso modello del gregge. Non si può pretendere dagli altri quello
non facciamo nemmeno noi. In questo modo, predicando con le parole
una cosa e vivendone altre, rischiamo di generare una grande
ribellione in chi arrogantemente cerchiamo di correggere, scordando
che egli è una risorsa per noi... anche se ha solamente tre anni.
L'educatore deve essere umile, saper ascoltare i piccoli e ammettere
che anche da loro si può e si deve imparare. Chi pensa di essere già
arrivato, non sa di essere ancora al punto di partenza.
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