Esistono vari tipi di silenzio: la nostra esperienza ce lo insegna così bene. Il silenzio possiede, infatti, varie sfacettature: come uno stesso colore in un quadro assume sfumature diverse e quindi significati differenti, così il silenzio si colora di tonalità variegate a seconda di come è stato dipinto. L'arte c'insegna bene e ci offre un esempio palese di come un colore può richiamare concetti diversi a seconda della sua intensità. Sappiamo bene, infatti, che l'iconografia si avvale di figure stilizzate e s'incentra più che altro sul significato dei colori. Il silenzio si tinge di adorazione, quando l'anima rapita dal suo diletto non può pronunziare parola per non spezzare quell'incanto che si è creato. E' il silenzio di adorazione e di stupore, come quello del bambino di fronte ad un albero di Natale illuminato. Una vecchia canzone di un cantautore riportava al presente l'intensità dell'emozione provata a Natale e ne vedeva la corrispondenza all'amore che provava per la sua ragazza. L'amore, sia umano che divino, esige "gli occhi da bambino", si sazia del suo stupore e incanta il cuore.
Il silenzio, ovvero le pause, in musica, hanno un'importanza espressiva enorme. Anche Gesù nei suoi dialoghi, così come sono riportati nel Vangelo, usa il silenzio, le pause, per esprimere sentimenti ed emozioni. Lo vediamo fissare lo sguardo sui discepoli che intende chiamare alla sequela...
C'è il silenzio di contemplazione... Basti pensare al momento in cui ci si trova di fronte ad un panorama stupendo. Un'espressione italiana rende l'idea: "è un panorama da mozzare il fiato". Non si hanno più parole per esprimere l'incanto se non immergendosi nel silenzio.
Vi è il silenzio della natura, pieno di armonie sublimi. Il silenzio è riempito del mormorio del vento che gioca con le foglie degli alberi, le scuote e queste, al tepore dorato del sole, s'agitano lucenti e frementi.
Chi è stato in montagna sa bene quanto si gusti il silenzio incantevole della natura, un silenzio intriso di pace o accompagnato dal canto dei ruscelli...
Gesù indicava spesso la natura come esempio. Noi siamo parte integrante di lei.
Ma c'è anche un silenzio tragico che è quello del Venerdì Santo, il silenzio della morte, dell'assenza di vita. Il Venerdì Santo è il silenzio tragico di Dio. Tante volte m'immagino i discepoli che vedono morire Gesù abbandonato da tutti, soprattutto da coloro che ne avevano ricevuto il bene. Il Venerdì Santo è squarciato dal grido che viene dal più profondo dell'uomo: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" I discepoli, costernati, vedono morire Colui che si era proclamato la Vita. Noi che sappiamo il seguito della storia, pregustiamo già la gioia della Resurrezione e ci vantiamo di credere in Gesù morto e risorto. Finché viviamo, camminiamo, non fatichiamo a credere nella Resurrezione, ma quando ci troviamo di fronte ad un corpo senza vita, il silenzio tragico del Venerdì Santo, pesa nei nostri cuori come un macigno e la storia della resurrezione diventa un fatto riguardante Gesù e basta. Per questo bisogna vivere intensamente, sotto tutti gli aspetti il Venerdì Santo, per poi credere veramente al fatto concreto della resurrezione. La costernazione... l'incredulità... la vile fuga dei discepoli... il rinnegamento... perché la resurrezione non sia una semplice favola a lieto fine di fronte all'orrore della morte, dobbiamo vivere, sperimentare con intensità il Venerdì santo.
Quindi il silenzio tragico del Venerdì Santo, delle miserie dell'uomo, per poi passare al Sabato Santo, al silenzio pregno di attesa screziato di gioia...
Ma il Sabato Santo è per noi, perché i contemporanei di Gesù lo hanno vissuto in modo sicuramente diverso. Il loro Sabato Santo, forse, era intriso più di delusione che di speranza...
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