La domanda "Dove sei, Signore" è l'eco tremendo della sofferenza umana, del chiedersi il motivo di tante ingiustizie perpetrate nel mondo. Un'eco dolorosa, un'eco che parla del dramma umano. E' un'eco che ha attraversato la storia di fede di un popolo intero, quello ebraico e ancora attraversa il popolo dei credenti e di tanta gente smarrita che non ritrova più se stessa.
Voglio raccontare un breve episodio della mia vita che senz'altro mi ha segnato profondamente. Per vari motivi sono stata a contatto con il favoloso ex reparto di pediatria del Galliera di Genova. Là ho conosciuto la sofferenza degli innocenti, di tanti bambini la cui vita non si era ancora schiusa, ma già dovevano affrontare un passo più grande di loro, quello della morte. In quel reparto, per la prima volta, anch'io, sebbene fossi piccola, mi domandai: "Dove sei, Signore?" Ho conosciuto, però, anche la generosità di molti medici che hanno dato la vita per ridare salute a tanti piccoli che avevano bisogno di loro. Ho incontrato medici che hanno vissuto la loro professione come una missione. Era un'equipe di giovani medici, impegnati a lenire anche il dolore interiore di tanti piccoli bimbi martoriati. Nel reparto vi era degente una ragazza, Emanuela, ammalata di leucemia. La si vedeva scivolare per il reparto, flebo alla mano, con un vago sorriso sulle labbra. Siccome io ero molto più piccola, avevo dodici anni di meno, la guardavo un po' come un modello. La vedevo camminare per il reparto, con passo veloce. Il suo capo, privo di capelli, era coperto da un fazzoletto rosso, era alta, magrissima. Lo studio dei medici era tutto tappezzato dei nostri disegni che facevamo per dimostrare loro la gratitudine che avevamo nei loro confronti. Sì, perchè tutti noi, sebbene piccoli, comprendevamo bene che stavano facendo di tutto per salvare o rendere migliori le nostre vite. Ben lungi da noi, il pensare che le punture, i prelievi o qualsiasi altro esame, fossero fatti per farci del male. Anzi, offrivamo la nostra collaborazione, seguivamo il decorso della malattia, discutevamo di essa con loro. I medici ci parlavano apertamente, non ci nascondevano nulla. Lungi da noi, davvero, i capricci che fanno certi bambini di fronte ai camici bianchi dei medici: sapevamo bene che la vita nostra, dipendeva da loro. E veramente, sarà la generosità dei bambini stessi, erano lontani da noi anche certi atteggiamenti di non accettazione o ostentazione della malattia di alcuni adulti. Capitava, perché nessuno, nemmeno i santi hanno accettato la sofferenza a cuor leggero: hanno sudato per accettarla, per accoglierla nella propria vita e solo così si accumulano meriti. Ma, appunto, dopo il momento di sconforto, ecco comparire nuovamente il sorriso, come il sole dietro una nuvola. E lei, Emanuela, la mia "sorella maggiore", camminava dritta con l'albero della flebo accanto, senza ostentare la sofferenza, senza camminare curva sotto il suo peso. Ed un giorno vidi un suo disegno attaccato al muro dello studio dei medici; ce n'erano tanti suoi e mi colpì una scritta, forse di qualche medico...Non so. Emanuela aveva 22 anni. C'era scritto: "Arrivederci, Emanuela." Chiesi spiegazioni, ero ancora piccola. Mi risposero senza guardarmi negli occhi, che era andata in cielo. Avrei voluto piangere, chiedere il perché: tanti bambini che avevo conosciuti sono andati in cielo. Ho vissuto la speranza dei genitori, l'altalena di gioia e dolore, dei giovani pazienti. Il mio cuore era colmo di dolore. Fu la prima, vera volta, che dal mio cuore emerse questa domanda, grondante dolore: "Dove sei, o Dio?"
Sì, Dio talvolta si nasconde ai nostri occhi: ci sentiamo travolti dalla sofferenza, dalle tragedie. Tante volte in seguito mi sono chiesta dove fosse Dio, ma poi, un giorno, aprii gli occhi, quelli del cuore e vidi bene dov'era: era appeso ad una croce. Lui che aveva vissuto nella giustizia, sanando e facendo del bene, era stato picchiato, flagellato e Crocifisso: sì, insomma, anche Lui, pur essendo innocente, aveva subito il dolore...
Voglio raccontare un breve episodio della mia vita che senz'altro mi ha segnato profondamente. Per vari motivi sono stata a contatto con il favoloso ex reparto di pediatria del Galliera di Genova. Là ho conosciuto la sofferenza degli innocenti, di tanti bambini la cui vita non si era ancora schiusa, ma già dovevano affrontare un passo più grande di loro, quello della morte. In quel reparto, per la prima volta, anch'io, sebbene fossi piccola, mi domandai: "Dove sei, Signore?" Ho conosciuto, però, anche la generosità di molti medici che hanno dato la vita per ridare salute a tanti piccoli che avevano bisogno di loro. Ho incontrato medici che hanno vissuto la loro professione come una missione. Era un'equipe di giovani medici, impegnati a lenire anche il dolore interiore di tanti piccoli bimbi martoriati. Nel reparto vi era degente una ragazza, Emanuela, ammalata di leucemia. La si vedeva scivolare per il reparto, flebo alla mano, con un vago sorriso sulle labbra. Siccome io ero molto più piccola, avevo dodici anni di meno, la guardavo un po' come un modello. La vedevo camminare per il reparto, con passo veloce. Il suo capo, privo di capelli, era coperto da un fazzoletto rosso, era alta, magrissima. Lo studio dei medici era tutto tappezzato dei nostri disegni che facevamo per dimostrare loro la gratitudine che avevamo nei loro confronti. Sì, perchè tutti noi, sebbene piccoli, comprendevamo bene che stavano facendo di tutto per salvare o rendere migliori le nostre vite. Ben lungi da noi, il pensare che le punture, i prelievi o qualsiasi altro esame, fossero fatti per farci del male. Anzi, offrivamo la nostra collaborazione, seguivamo il decorso della malattia, discutevamo di essa con loro. I medici ci parlavano apertamente, non ci nascondevano nulla. Lungi da noi, davvero, i capricci che fanno certi bambini di fronte ai camici bianchi dei medici: sapevamo bene che la vita nostra, dipendeva da loro. E veramente, sarà la generosità dei bambini stessi, erano lontani da noi anche certi atteggiamenti di non accettazione o ostentazione della malattia di alcuni adulti. Capitava, perché nessuno, nemmeno i santi hanno accettato la sofferenza a cuor leggero: hanno sudato per accettarla, per accoglierla nella propria vita e solo così si accumulano meriti. Ma, appunto, dopo il momento di sconforto, ecco comparire nuovamente il sorriso, come il sole dietro una nuvola. E lei, Emanuela, la mia "sorella maggiore", camminava dritta con l'albero della flebo accanto, senza ostentare la sofferenza, senza camminare curva sotto il suo peso. Ed un giorno vidi un suo disegno attaccato al muro dello studio dei medici; ce n'erano tanti suoi e mi colpì una scritta, forse di qualche medico...Non so. Emanuela aveva 22 anni. C'era scritto: "Arrivederci, Emanuela." Chiesi spiegazioni, ero ancora piccola. Mi risposero senza guardarmi negli occhi, che era andata in cielo. Avrei voluto piangere, chiedere il perché: tanti bambini che avevo conosciuti sono andati in cielo. Ho vissuto la speranza dei genitori, l'altalena di gioia e dolore, dei giovani pazienti. Il mio cuore era colmo di dolore. Fu la prima, vera volta, che dal mio cuore emerse questa domanda, grondante dolore: "Dove sei, o Dio?"
Sì, Dio talvolta si nasconde ai nostri occhi: ci sentiamo travolti dalla sofferenza, dalle tragedie. Tante volte in seguito mi sono chiesta dove fosse Dio, ma poi, un giorno, aprii gli occhi, quelli del cuore e vidi bene dov'era: era appeso ad una croce. Lui che aveva vissuto nella giustizia, sanando e facendo del bene, era stato picchiato, flagellato e Crocifisso: sì, insomma, anche Lui, pur essendo innocente, aveva subito il dolore...
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