Abituati ad essere i protagonisti della nostra vita, tendiamo ad esserlo anche nel nostro rapporto con Dio, rapporto che viene vivificato, nutrito dalla preghiera. Non può essere altrimenti: stare con Dio c'insegna a vivere come Lui, se non stiamo con Lui, Egli si trasforma in un vago ricordo che diventa sempre più confuso fino a sparire del tutto. La carità va bene, solamente se nel cuore del fratello contemplo il volto di Gesù...Lasciare spesso la preghiera per la carità, può essere un'evasione dal timore del silenzio; così come lasciare il lavoro per la preghiera, necessita della nostra presenza, essa diventa un alibi pericoloso per la crescita personale.
Piccola divagazione...Dicevo che anche nelle preghiere siamo abituati ad essere gli assoluti protagonisti...Abbiamo paura, anzi quasi terrore, di non essere ascoltati e quindi di essere lasciati a nuotare nel mare delle nostre inconsistenze, le quali sono una minaccia enorme per l'impalcatura di santità che dobbiamo mostrare agli altri e non tanto a Dio del quale ci scordiamo la Sua onniscienza.. A causa di questo timore, spesso si tende a riempire la nostra preghiera personale, di suppliche, di devozioni...anzi, di manuali di devozione... Ci sembra di perdere tempo stando in silenzio eppure, è proprio nella contemplazione, che Lui entra nella nostra vita, anzi irrompe, e la cambia. Proprio perché stiamo in silenzio, proprio perché lasciamo parlare Dio.
La vera preghiera aiuta a mortificarsi: la contemplazione, come ho già detto, esige il silenzio di tutti i sensi e sarà più facile, quando infuria la battaglia, farli tacere e rientrare in se stessi.
La vera preghiera aiuta la pratica dell'astinenza e del digiuno. Se la preghiera non entra in tutti gli ambiti non è vera...
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