"O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia"
Desidero cominciare dalla preghiera con cui finiscono i primi vespri di oggi.
Dio unisce in un solo volere, quello suo, le menti dei fedeli. Qual è il suo volere? Il suo è un disegno di redenzione, perciò desidera che tutti gli uomini vivano in Lui, nell'amore. Il suo volere è quindi l'amore e il volere di ogni uomo cristiano dovrebbe essere l'amore, ma per capire questo deve sperimentarlo, deve sentire, gustare, assaporare la gioia e la pace che ne provengono, altrimenti il suo volere rimane una gioia effimera dovuta alle cose della terra che, sappiamo tutti, passano in un lampo, in un soffio... Un minuto prima ci sono, un istante dopo sono scomparse. Il nostro cuore non deve puntare a queste gioie terrene, anche se effettivamente ci danno pace e serenità, perché c'è qualcos'altro di più duraturo, di più importante a cui dobbiamo puntare.
La preghiera continua su un tono assai strano: concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi. Alla base di tutto c'è un atto d'amore, altrimenti non riusciamo a compiere il volere di Dio. Non basta andare a Messa, dire qualche preghiera quando ci pare o quando le tempeste della vita ci colgono di sorpresa e vediamo che tutto ci crolla addosso, che le felicità effimere su cui avevamo contato, sono distrutte e hanno lasciato un vuoto incolmabile. A volte guardando al nostro spirito, ci accorgiamo quanto siano fugaci le nostre sensazioni, perché soggette al nostro corpo così fragile, così vulnerabile...
Egli ci comanda di amare gli altri, il nostro prossimo: Gesù lo ha esplicato più e più volte ai discepoli e a coloro che lo interrogavano per sapere cosa avrebbero dovuto fare per conquistare il regno di Dio. Se da una parte, amare è sacrificio perché pone la felicità altrui al primo posto, anche rispetto alla nostra, dall'altra Dio non si fa vincere in generosità e ripaga il nostro spirito con una serenità senza pari. Perché? Perché con l'amore ci libera dalle catene dell'egoismo che ci costringe a vedere le nostre sofferenze, i nostri bisogni e rimaniamo intrappolati là, incapaci di reagire e di muoverci. Allora bisogna desiderare amare, sentirsi sedotti da questo amore che domanda, che scava nelle profondità del nostro essere.
"... e desiderare ciò che prometti". Vi sembra strano? Non è così scontato che il cristiano desideri ciò che Dio promette: la vita eterna, essere ammessi nel suo Regno. La nostra vita è tutta orientata all'eternità e bisogna desiderarla. Non bisogna fermarsi al venerdì santo.
È chiaro che per amare ciò che Dio comanda e desiderare ciò che Lui promette, bisogna andare alla Fonte, assaporare quell'acqua viva che è Cristo e si può solamente quando ci mettiamo in preghiera, quando siamo in ascolto della Sua voce, altrimenti amare il prossimo rimane mera filantropia che non ha nulla a che vedere con la carità cristiana. Bisogna desiderare il paradiso, la vita eterna, solamente così riusciremo ad amare Dio e i fratelli/sorelle più di noi stessi. E dove possiamo imparare ad amare il prossimo se non contemplando Cristo crocifisso? Ma poi, dobbiamo davvero credere che non è finito tutto là. La grande pietra è rotolata dal sepolcro e il Corpo di Gesù è davvero risorto! Ma quale vantaggio avrebbero ottenuto gli Apostoli nel predicare una cosa del genere, quando per questo hanno affrontato la morte?
E là, in questa infinita gioia deve essere fisso il nostro cuore, nonostante le vicende della vita che ci possono portare a dubitare, ad attraversare momenti di tempesta in cui la nostra barchetta fragile sembra affondare... il nostro cuore deve essere fisso, fermo...Niente deve farlo muovere, niente... perché là sta la vera gioia!