Nei post precedenti ho
riflettuto un po' sull'uccisione di Mario, il carabiniere, e sui
commenti malsani sui social che evidenziavano un'incapacità estrema
di dare valore alla vita.
Il gesto del giovane
killer ne è un perfetto esempio. La vita è maltrattata fino al
punto di non darle alcun valore. È proprio il male del secolo.
Questa notizia non ha
avuto un'eco straordinaria nei mass media: io l'ho letta per caso su
Facebook, però mi ha colpito in modo particolare; non accettare la
sconfitta, la delusione, il confronto, il fallimento, è un tarlo che
corrode la nostra società. Il fatto è che uno si identifica nel
fallimento riscontrato, sbagliando enormemente. Un saggio proverbio
che tutti conoscono afferma che “sbagliando si impara”. Chi sa
far tesoro di questo, sa scalare anche la vetta ardua che conduce al
sapere e alla cultura. La vita ci presenta spesso il suo conto di
delusione, di fallimento, di sconfitta che fa parte integrante di
essa. Attraverso questi conti amari, si cresce, si aggiusta il tiro,
per raggiungere prima o poi il nostro obiettivo. Probabilmente non
raggiungeremo l'obiettivo che ci siamo prefissati nemmeno alla
seconda, alla terza volta e chissà per quante volte dovremmo
tentare, però, se ci crediamo davvero, dovremmo provare per quante
volte sarà necessario. Il dolore, la delusione, la sofferenza sono
normali conseguenze del fallimento, ma se ridimensioniamo questi
sentimenti e capiamo che è l'approccio verso quella cosa che abbiamo
sbagliato, cercheremmo strategie sempre più mirate e giuste che ci
consentano di raggiungere gli obiettivi prefissati.
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