domenica 2 febbraio 2025

Società virtuale

 A volte è opportuno fermarsi a riflettere su dove sta andando il mondo, perché in esso viviamo. Ricordo che tanto tempo fa, quando ero molto giovane, non mi piaceva assolutamente la mentalità del mondo, la vomitavo letteralmente. Come cristiani, però, siamo chiamati a vivere questo tempo che Dio ci ha dato. Ogni epoca ha le sue caratteristiche, sia belle che brutte e la nostra sta prendendo una strada che stupisce, che interroga.



Internet e i mezzi di comunicazione sono strumenti che possono essere usati in modo negativo o positivo. In sé non hanno nulla di cattivo, è l'uso che se ne fa che determina l'impatto sociale. 

Nell'era della Comunicazione, siamo sempre più distanti gli uni dagli altri, preferiamo i rapporti virtuali a quelli reali perché rapportarsi con gli altri suscita inevitabilmente sofferenza o comunque fatica... fatica a comprendersi, a stare insieme, ad accettarsi. Nell'era in cui si parla maggiormente di inclusione, spesso e volentieri ci siamo persi in un buonismo decadente, perdendo così il vero significato di amare tutti e della carità cristiana. Peggio ancora, non riusciamo a sopportare le semplici differenze dell'altro che esistono, ma solamente con il nostro impegno possono diventare un arricchimento. 

E così, nell'era della pretesa dell'uguaglianza, assistiamo a una scristianizzazione della società: si accettano idee contro la vita, ma non si accetta chi la pensa in senso cattolico e cristiano che viene puntualmente emarginato, messo da parte, escluso.

E così, si assistono a matrimoni con se stessi (un tale si è vestito metà da donna e metà da uomo), con pupazzi e con intelligenze artificiali. 

È una società che fugge da se stessa, che ripugna l'Umanità stessa, sempre più virtuale, ricercante disperatamente soluzioni nel benessere che non l'appaga più.

Il vero coraggio e forza

 Ieri, navigando tra i real, mi sono imbattuta in una testimonianza veramente commovente di un bambino ammalato di cancro. Era un ragazzino americano e un giornalista lo stava intervistando. Il bambino ha affermato che si sentiva scelto da Dio per soffrire ed era contento che le sue sorelle e i suoi fratelli non passassero per il suo stesso patire. Ciò che davvero mi ha colpito è la sua affermazione di sentirsi onorato per essere stato scelto da Dio a soffrire e che era veramente contento.



A volte si misura la forza di una persona dal fisico, ma c'è un'altra forza, sicuramente più importante di tutte, quella che aiuta ad accettare la sofferenza nella vita. Quando la malattia bussa alla porta della nostra vita, vuole dirci qualcosa, vuole insegnarci qualcosa. Dio ci chiama a qualcosa di grande, perché di solito la malattia non colpisce solamente il fisico, ma coinvolge anche l'anima e la psiche, soprattutto quando ciò avviene quando si è piccoli. La malattia, soprattutto se cronica, insegna giorno per giorno a spogliarsi di sé, a sentire tanti no, a vedere i propri progetti sgretolarsi lentamente, ad affrontare tanti pregiudizi, ma anche incomprensioni. Ti senti senza forze e gli altri ti giudicano senza sapere che la malattia è come un vestito personale, fatto su misura. Quello è l'abito che devi indossare tu, a nessun altro va bene, sebbene altri siano chiamati a soffrire della stessa malattia. 

In un mondo sempre più materiale che tende a scartare chi non produce (a volte anche nell'ambito delle comunità religiose), la sofferenza è proprio quella che lo redimerà, ovviamente quella accettata con amore e generosità... ma veramente, dal profondo del proprio cuore. Di fronte a quest'affermazione, spesso, soprattutto chi è avvezzo alla vita spirituale, pensa che l'accettazione volenterosa della sofferenza debba avvenire immediatamente per diventare santi, invece non è così. Se leggiamo le storie dei santi, soprattutto dei santi più recenti, notiamo spesso che le testimonianze di chi li ha conosciuti, affermano che inizialmente la persona si è ribellata alla malattia, ma poi, è stata considerata come una benedizione. Questa è la vera santità, perché richiede davvero sforzo, coraggio, non quando si accetta la sofferenza semplicemente per farsi vedere santo... o sì, perché può capitare anche questo.