sabato 27 luglio 2013

La preghiera di Gesù

La preghiera di Gesù al Padre deve essere stata straordinaria per strappare ai discepoli la richiesta di insegnar loro come pregare! Gesù ha però solamente potuto insegnare delle parole che devono essere riempite totalmente del loro significato. Non possono essere pronunciate meccanicamente, come una poesiola di cui non conosciamo l'origine e lo spirito. La preghiera del Padre Nostro che Gesù suggerisce ai discepoli deve essere piena del suo proprio significato impresso nello spirito, in modo indelebile.

venerdì 26 luglio 2013

La pazienza di Dio

Dio è infinitamente paziente, lo rivelano le parabole che racconta ai suoi discepoli. 
Oggi, memoria dei santi Gioacchino e Anna, ci propone la parabola del seminatore e, domani, quella della zizzania. A un popolo di pastori e agricoltori, quale era quello degli Ebrei, Gesù spiega il Regno di Dio e l'amore del Padre utilizzando l'ambiente agreste. Gesù desidera che comprendano bene il suo messaggio, affinché possano condividere pienamente la vita divina. Ovviamente non viene capito, il messaggio viene filtrato e rielaborato da menti prettamente materiali. Dio sorprende perché abbatte ogni confine umano, vuole proiettare la vita spirituale umana in un contesto infinito. Quando si vuole relegare la Parola di Dio in un cantuccio o semplicemente elaborandola in specifici settori, complessi, contraddittori, non si arriva al suo cuore, Dio, cioè, diventa il Perfetto Sconosciuto.
Con infinita pazienza spiega che noi possiamo essere vari tipi di terreno, un terreno, comunque, che può cambiare di sostanza se viene curato e così renderlo disponibile ad accogliere quel seme che viene gettato dal seminatore, ossia Dio. Possiamo comprenderlo anche noi, sebbene viviamo in comode ma deliranti città: veniamo dalla terra e da essa siamo attratti ed istruiti, perché ad essa dovremmo tornare, polvere come lei.
Domani, il vangelo non cambia più o meno tema: ecco che un nemico semina della zizzania. Impastati di letture, spiegazioni, traiamo superficialmente le nostre conclusioni: buoni e cattivi insieme! Dio, pazientemente, lascia crescere entrambe! Non è solo quello. Ogni nostra azione ha una conseguenza sugli altri alla quale dovremo rispondere davanti a Dio. Non illudiamoci. La nostra anima, vergognosamente e finalmente, vedrà l'effetto delle sue azioni e andrà ad occupare il posto che le spetta. Il Purgatorio sarà un gioco, in confronto all'Inferno, nel quale potrebbe piombare DEFINITIVAMENTE. Padre Livio in una sua bellissima catechesi aveva affermato che l'uomo, anche di fede, non accetta l'esistenza dell'inferno. Spesso e volentieri rimuove questo pensiero dalla sua mente, perché, semplicemente è più comodo così. Non è solamente questo. L'uomo non accetta l'inferno e vuole credere disperatamente che nessuno ci vada per ovviare ai suoi errori denunciati continuamente dalla sua coscienza. La cosa più raccapricciante è che l'inferno è eterno. Non si può fuggire da esso....
Ebbene, ritornando al discorso della zizzania, è che la zizzania potrebbe soffocare definitivamente la pianticella cresciuta bene e renderla colpevolmente come lei. Oh sì, dovrà rispondere anche di ciò che ha fatto della pianticella. Quanti nostri atti marchiati come il bene maggiore dell'altro, hanno portato l'altra persona alla disperazione e qualche volta al suicidio?
Dio però è paziente, attende, come l'agricoltore... Beato Lui che ce la fa!

Il silenzio

Il silenzio
simile all'onda del mare
avvolge il cuore
e gli alberi,
coi rami protesi
dall'azzurro del mare
a quello del cielo
in cerca di un infinito
d'amore
di pace.
Accarezzati
bagnati
di luce dorata
s'illuminano i rami
repentinamente gettandosi
nell'ombra rigenerante
in un gioco eterno
fra i sentieri coperti di foglie.
Laggiù,
fra il gioco dei raggi del sole,
ecco la città silenziosa
del sonno
dove anime cercano
luce eterna...

domenica 21 luglio 2013

Maria Maddalena

Nel giro di due giorni la liturgia ci propone tre figure di donne che servono ed amano Gesù, in modo diverso e del tutto personale. È interessante cercare di entrare nella personalità di ciascuna di esse e capire le motivazioni del loro agire.
Oggi due figure di donne che paiono in contrapposizione, Marta e Maria. Marta è tutta occupata nei servizi, in modo che Gesù possa avere la migliore delle ospitalità; Maria è ai suoi piedi e ascolta Gesù. È da notare che Gesù non rimprovera Marta mentre fa i lavori, ma in seguito alla frase che lei stessa gli rivolge: “Di' a Maria che mi aiuti”. Gesù non rimprovera Marta perché si occupa delle cose materiali inerenti all'ospitalità, ma la mancanza di gratuità e di calma nel suo agire. Aveva ragione Marta a riprendere Maria perché se ne stava comoda ad ascoltare Gesù lasciandola dibattere in incombenze altrettanto necessarie, senza muovere un dito! È la preoccupazione che si mette nel fare le cose. È ben vero che l'amore fa uscire da se stessi e spinge all'azione, non basta ascoltare Gesù, è opportuno agire. 
Domani, invece, il vangelo ci propone la figura di un'altra donna: Maria Maddalena. Maria Maddalena è stata vicina alla Madonna mentre Suo Figlio veniva ingiustamente giustiziato. Le donne sono state le uniche, insieme con Giovanni, a seguire Gesù fino alla Croce, a vederlo spirare. E non è cosa da niente. Chi può sopportare di vedere una persona a cui si vuole bene morire ingiustamente, picchiata, flagellata crudelmente, senza poter alzare un dito? Al solo pensare che Gesù ha sopportato tali sofferenze, viene il magone. Il film di Mel Gibson rende l'idea. Viene a noi che non l'abbiamo visto di persona, si possa immaginare chi assisté a tale cruento spettacolo! Lo aveva visto soffrire, morire sulla croce, spasimare. Il suo amore sincero per il Signore, la sua pietà, la spinse a recarsi di buon mattino al sepolcro. Le donne non hanno avuto paura di mostrare la loro sofferenza durante la passione e così adesso, dopo che il suo Corpo era ormai deposto nel sepolcro, rendergli gli omaggi necessari. Ma ecco la sorpresa, la  sofferenza non è ancora finita: il Corpo di Gesù non c'è più. La reazione di Maria non si fa attendere: piange disperata, il corpo del suo Signore non c'è. Non crede all'annuncio di Gesù della Resurrezione, anche lei incredula come tutti. Pensa che l'abbiano rubato, che abbiano ancora compiuto uno scempio sul cadavere del suo Maestro. Gesù ha pietà delle lacrime di Maria e le appare. Lei non lo riconosce, pensa che sia il giardiniere e domanda dove hanno posto il Corpo del suo Signore. Ecco che Gesù la chiama per nome. Il nome è tutto, è l'essenza della persona. Non si fa riconoscere dicendo semplicemente: “Sono io, Gesù” cioè dicendo il proprio nome, ma quello della donna, di colei che ha davanti. Chiaro la decentralizzazione costante dall'io al tu. Dio non può pensare a se stesso. Con tenerezza pronuncia il nome di Maria, capisce la sua sofferenza. E Maria Maddalena lo riconosce dal modo in cui pronuncia il suo nome, comprendendo il suo dolore più profondo, il motivo di esso.
Gesù non cambia la personalità della gente, sfrutta i talenti, accetta le varie manifestazioni di affetto  senza dire qual è la migliore. Tutte vanno bene purché sia sincera e sia vero amore.

Gita a Bonassola

venerdì 19 luglio 2013

La rivoluzione di Dio

Non c'è dubbio che Gesù sia un rivoluzionario della società. Ai tempi di Gesù le donne e i bambini contavano nulla, trattati alla stregua di animali, anzi peggio. La rivoluzione che lui propone è però molto diversa rispetto a quella che pensiamo noi. Gesù dimostra la sua concezione sociale attraverso le  azioni. “Gli ultimi saranno i primi”: “saranno”, il verbo è al futuro ma per Gesù è già presente. Il vangelo di domani tratto da Marco, cita un passaggio del profeta Isaia: “Non alzerà il tono, non spegnerà il lucignolo fumigante e non spezzerà la canna infranta”. Già, perché Gesù è venuto per i malati, per coloro che sentono di aver bisogno di un medico spirituale. Tempo fa avevo sentito che un uomo ricco, pieno di salute, realizzato in ogni campo, compreso quello familiare, si era rivolto a don Tonino Bello domandandogli che posto avesse lui che aveva tutto nel cuore di Dio. Don Tonino Bello infatti, era un po' come il Papa: era con gli ultimi, con coloro che non hanno voce. Il prelato gli rispose semplicemente che tutti, anche coloro che sembravano possedere tutto, erano poveri dinanzi a Dio e quindi sono a Lui cari. Non è escluso nessuno.
Verissimo, il cuore di Dio accetta tutti, ha accettato persino quei farisei che lo volevano condannare. L'amore lo ha portato ad essere povero fra i poveri, fino a morire sulla croce. Non era povero solamente materialmente, ma ha soprattutto sperimentato nella sua vita la calunnia, il diniego, l'abbandono, il tradimento. Sono queste ultime che fanno soffrire immensamente l'uomo. Giobbe, provato duramente dalla sofferenza, esclamò: “Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?”.
Gesù è paziente verso coloro che lo crocifiggono fino alla fine: “Padre, perdona loro quello che fanno”
Quando noi critichiamo gli altri, automaticamente attestiamo a noi stessi e agli altri di non aver bisogno di nessuno perché siamo perfetti. Per questo la carità vera nasce da un cuore umile, che sa che ha bisogno di Dio. Santa Teresina di Lisieux commentò un passo celebre del vangelo: “A chi viene perdonato molto, molto ama”. Lei era nata in un ambiente religioso e non aveva mai commesso grandi peccati come invece fece sant'Agostino durante la sua vita consumata fino a 33 anni nel peccato più sfrenato, seppur fosse alla ricerca della verità. Tale punto divenne fonte di riflessione per lei. Lei sentiva di amare profondamente il buon Dio come se le avesse perdonato peccati mortali. Spiegò il suo stato d'animo così: il genitore che ama il figlio, quando intravede un ostacolo nel suo cammino, cerca di rimuoverlo nascostamente. Il bambino deve avere l'animo tanto aperto da riconoscere questo e avere il proprio cuore aperto alla gratitudine. Gli è stato perdonato molto, già prima che inciampasse nel peccato! È la situazione della Madonna. Non commise peccato nella sua vita, le fu perdonato prima che lei cadesse, perciò la sua anima poteva liberaemte magnificare il Signore. Codesta virtù, che rimane nascosta, è l'umiltà. Umiltà non è diventare vittima di se stessi, dire di non aver nessun dono! Sarebbe l'eresia più grande! L'umile non ha paura né delle sconfitte, né delle vittorie; né del disprezzo, né delle lodi! L'umile, semplicemente, riconosce i suoi doni e invece di farne motivo di vanto, ammette che tutto ciò che gli è stato dato di buono è un dono. Pensiamo ad esempio all'intelligenza. Essere intelligenti è scontato. Ognuno ha una sua intelligenza, un tipo di intelligenza che può variare a seconda delle persone, ma c'è. Eppure è un semplice dono e la sua esistenza non dipende da noi: un incidente, una malattia devastante sarebbero capaci di ridurla a nulla in un istante e noi non avremmo alcuna possibilità di riprendercela.
Einstein fu un grande scienziato perché era veramente umile. Non aveva l'arroganza di altri. Egli capiva di avere tante altre cose da imparare e che quello che conosceva era una minima parte rispetto a ciò che non conosceva. Un grande, un gigante della scienza, perché era umile! Il vero saggio e sapiente è colui che sa di non sapere! Verissimo perché sa che non è mai giunto alla verità intera e continuerà a cercarla. Questo ovviamente vale pure nel campo spirituale: se penso di essere giunta alla vera perfezione, non la cercherò più in quanto penso che sia già in mio possesso. È la più grande bugia che si possa raccontare a se stessi. Accadde così ai farisei che erano convinti di possedere la verità e perciò non sentivano manco più il bisogno di Dio, di Colui che credevano servire con tutte le loro leggi minuziose. Gesù non era di quel parere, ovviamente. Nessuno degli uomini possiede l'intelligenza di Dio. La cosa più eclatante è che i farisei erano davvero ciechi! Non fecero mai caso ai miracoli di Gesù. Stupidamente all'uomo che da 38 anni era paralizzato e in quell'istante era stato guarito da Gesù e saltava come un canguro, i farisei oppongono la loro legge: oggi è sabato e non ti è permesso di camminare tenendo il tuo lettuccio in mano! A volte non si medita mai abbastanza sulla stupidità delle risposte dei farisei. Purtroppo tante volte anche noi, senza accorgercene, assumiamo i loro stessi atteggiamenti. Allora rimane questo dilemma: come comportarsi davanti a un peccatore? Alla persona che ha peccato, dobbiamo sempre dare una possibilità, amarla, ma, poiché l'amiamo dobbiamo cercarle di aprire gli occhi, farle capire che è male ciò che sta facendo. Il peccato deve essere odiato, ma il peccatore perdonato. Amare i peccatori non significa quindi stare a guardare mentre pecca senza dire nulla, ma indicar loro la vera strada da percorrere.
Se ad esempio vedessimo qualcuno che tenta di buttarsi dalla finestra, cercheremmo di impedirglielo. Stessa cosa per i peccatori. Se vediamo qualcuno che sta per commettere un peccato, non stiamo comodamente a guardarlo mentre cerca di suicidarsi spiritualmente. Nostro compito è quello di soccorrerlo, altrimenti sarebbe una vera e propria omissione di soccorso! Garantito!

sabato 13 luglio 2013

La casa sulla roccia

Continuando sull’onda della riflessione precedente, fondare la propria casa sulla roccia, come predicò Gesù, è costruire la propria vita su ciò che è eterno. E chi è eterno se non Dio solo. Se non sono fondati su Dio, noi stessi e le persone accanto a noi, anche le più care, sono transitorie. Ma perché allora venire al mondo se siamo destinati a diventare polvere? Perché vivere, perché amare se tutto si dissolverà come una bolla di sapone? Da questa semplice domanda possono scaturire infinite riflessioni. Per me è difficile affrontarle tutte in blocco. Cerchiamo di affrontare un discorso alla volta.
Ciò che è più importante nella vita sono proprio gli affetti, le amicizie, le persone a noi più care… ma anche loro sono transitorie, almeno nel corpo. Chi non crede capisce bene che tutti coloro che sono oggetto del loro affetto sono destinati a scompare, secondo loro per sempre. Terribile. Ricordo che una bambina uscì in un’espressione molto bella ma enigmatica: le persone che ci hanno lasciato vivono in noi attraverso i ricordi…
Perdonatemi se vi dico che tutto ciò è molto triste. Stringendo stringendo, il succo del discorso è questo: non appartieni più al mio presente né al mio futuro, sei relegato in un passato che non può più tornare. Le nostre persone care defunte non vivono solamente nel nostro passato ma dal cielo continuano ad occuparsi di noi, ad amarci, pure in modo concreto. Siamo troppo occupati a trovare il lato negativo della nostra vita perché talvolta è romantico, altre è più facile, che non ci accorgiamo di ciò che di positivo abbiamo. I nostri cari intervengono ancora, rimuovendo ostacoli nella nostra vita, ostacoli che noi ignoriamo. Non possiamo sapere della loro esistenza, perché sono stati rimossi prima che noi ci inciampassimo. Che brutto quindi far vivere i nostri cari nel passato quando li abbiamo nel tempo presente, vivi e operanti, presenti sotto forma diversa. Prendiamo un elemento naturale indispensabile alla vita e che è per eccellenza il simbolo della vita: l’acqua. L’acqua può essere presente sotto varie forme: liquida, solida e gassosa. L’umidità è acqua, non la vediamo. La tecnologia di oggi può spiegare persino cose spirituali: i deumidificatori hanno la funzione di trasformare l’umidità, l’acqua che noi non vediamo, in acqua liquida che noi vediamo. Se non vediamo l’acqua, non è detto che essa non esiste. Esiste, eccome! Così è di Dio. Se non
lo vediamo, non vuol dire che non esita.
Qualcuno potrebbe obbiettare che Dio è un’ invenzione dell’uomo per sopportare le sofferenze della vita. Escludendo le varie manifestazioni anche tangibili della sua esistenza, possiamo dimostrare l’esistenza di Dio pure senza ricorrere ad esse. L’uomo non può pensare a una cosa che non esiste… fantasiose sì, ma anche queste partono da un’ esperienza dell’uomo. Una cosa che non esiste non si può pensare. Quindi se l’uomo può pensare a Dio, Egli esiste… L’uomo ha ammesso sempre l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima. Se ha un concetto, seppur imperfetto dell’infinito e dell’eternità, vuol dire che queste esistono. La scienza ha dimostrato che pure l’universo ha una fine: buchi neri… ma l’uomo ha dentro il suo cuore la concezione dell’infinito e ad essa tende ad ogni istante. L’atto della procreazione ha come base questo: la sopravvivenza della specie; le opere artistiche hanno lo scopo di rendere tangibile la bellezza e renderla eterna: una tela, una scultura, durano più di un uomo che in poco tempo si riduce in polvere. Quindi l’infinito, l’eternità esistono, partono da un’esperienza empirica dell’uomo.
Dio perciò non può essere semplicemente  una favola, il suo concetto può partire da un’esperienza umana tangibile, immanente… Visto tante rivelazioni da parte delle anime del purgatorio, chissà che l’uomo primitivo non abbia avuto l’esperienza di un mondo che trascendeva dal nostro? Perché escluderlo totalmente?

Tutto passa

Santa Teresa d’Avila affermò un concetto giustissimo, verissimo, fondamento della nostra vita terrena: “Tutto passa, solo Dio resta”.
Niente di più vero, a volte lo sperimentiamo drammaticamente nella nostra vita e se non abbiamo un punto fermo, davanti alle tempeste inevitabili, perdiamo la rotta e la serenità.  Non ne vale la pena perché tutto è transitorio, tutto, purtroppo anche le persone che ci sono accanto…. E noi stessi! Diventiamo e siamo eterni solo se ci abbeveriamo della sorgente eterna: Dio. Non possiamo far altro che fondare la nostra casa nella roccia, altrimenti le tempeste rischieranno di portarci via, lontano, dove nemmeno vorremmo andare. Gli Ebrei avevano un’espressione molto bella riguardo a Dio che Gesù stesso ha ripreso più volte: “Dio è mia roccia e mia salvezza”. Non si può comprendere l’Antico Testamento se non si conosce la mentalità del tempo. Gli Ebrei erano un popolo nomade, abituato ad attraversare i deserti per trovare una sistemazione. Nel deserto il paesaggio cambia in continuazione a causa delle numerose tempeste di sabbia. La roccia era per loro simbolo di stabilità. Ecco quindi l’espressione profonda dei salmisti: “Tu sei la mia roccia”. 
È un’espressione molto profonda, di una spiritualità intensa derivata da un’esperienza tangibile. Il popolo ebreo deve aver avuto esperienza di Dio in modo concreto, non scaturita sicuramente dall’evoluzione culturale di un popolo. Questa eleva il popolo ebraico a una dignità senza pari, quello che ha voluto Dio per loro: essere un popolo eletto. Lo hanno dimostrato lungo la storia, accettando sofferenze inaudite, con un abbandono in Dio che noi dovremmo imparare. Qualcuno potrebbe obbiettare che non è stato l’unico popolo a subire un genocidio. Verissimo. Non si parla mai della strage degli Armeni perpetrata dal popolo turco, una strage ben ponderata, ancor più di quella dei tedeschi nei confronti degli Ebrei, ma ricordiamo che, senza gli Ebrei, noi non saremmo cristiani. Il Messia è nato dal popolo Ebreo e questo è straordinario! Perché? Semplicemente perché questo vuol sottolineare come la fedeltà del Signore sia eterna. Colui che conosce tutto, sapeva che gli Ebrei non avrebbero accettato la predicazione di Gesù, ma la salvezza era stata promessa loro e quindi il Messia doveva nascere là. Dio dà sempre tante possibilità e fra tutti quelli che potevano accogliere il messaggio evangelico, erano solamente gli Ebrei. I Romani non potevano diventare subito Apostoli come lo furono i Dodici, anche se erano più disposti a credere a un Dio con un corpo umano, rispetto agli Ebrei che non osavano nemmeno pronunciare il suo nome. Jahvè era un nome inventato che avvertiva il fedele che leggeva i passi della Bibbia che s’intendeva parlare di Dio. Santo, santo, santo… Irraggiungibile. Dio non poteva prendere un corpo d’uomo. Per questo non potevano accettare Gesù. Ma la promessa di Dio andava mantenuta. Un male: Gesù non fu accolto dai suoi, dal suo popolo; un bene: il messaggio evangelico è universale. Dio ha usato strategie anche umane… e questo è sorprendente. Gesù nacque nella pienezza dei tempi, quando la Giudea apparteneva all’Impero Romano. Non vi erano frontiere, perciò, dopo la morte di Gesù, gli Apostoli potevano spostarsi con facilità da un
a nazione all’altra e quindi recarsi a Roma, centro focale dell’ Impero. Vi era un detto: tutte le strade portano a Roma… Furbo Dio! Sapiente! I Romani erano abili architetti, un popolo intelligente: hanno costruito delle strade che portavano in tutta Europa, per cui era facile espandere il messaggio evangelico una volta arrivati a Roma. I Romani erano più disposti culturalmente ad accettare Gesù come Dio rispetto agli Ebrei, in quanto, come ho già detto, non si facevano problemi a vedere in un uomo la figura di Dio. L’imperatore stesso era tale per volere degli Dei. Il messaggio evangelico accennava alla Trinità. Gli Ebrei erano monoteisti e non transigevano dal Decalogo. I Romani erano abituati a avere più dei, la Trinità in un solo Dio poteva essere ammessa. Ciò che invece non accettavano e che scatenò che violente persecuzioni, fu il fatto che i Cristiani non adoravano l’Imperatore come Dio. Ironia della sorte: gli Ebrei non ammettevano la Trinità e non accettavano per questo motivo Gesù; i Cristiani ammettevano la Trinità in un solo Dio e per seguire il Decalogo (non avrai altro Dio all’infuori di me), furono messi a morte.
Le persecuzioni furono permesse da Dio per far capire che, pur avendo usato strategie umane come quella di scegliere Roma punto nodale di un Impero grandioso (Caput Mundi), c’era qualcosa di divino, che andava al di là di una strategia umana: nonostante le violente persecuzioni, la dottrina cristiana si diffondeva rapidamente disorientando i Romani sempre più infuriati ma anche affascinati dal loro coraggio.

domenica 7 luglio 2013

Papa Francesco e il lusso dei religiosi

 “A me fa male quando vedo un prete o una suora con un’auto di ultimo modello: ma non si può!”. Papa Francesco parlando ai seminaristi e alle novizie ha spiegato che la gioia non nasce “dalle cose che si hanno”, come auto di lusso o smartphone ultimo modello
Papa Francesco ha detto: “Alcuni diranno la gioia nasce dalle cose che si hanno, allora ecco la ricerca dell’ultimo modello di smartphone, lo scooter più veloce, l’auto che si fa notare. Ma a me fa male quando vedo un prete o una suora con l’auto ultimo modello, ma non si può!”, ha aggiunto suscitando un grande applauso dei circa seimila presenti.
“Io credo che la macchina è necessaria, si deve fare tanto lavoro, spostarsi tanto, ma prendetene una più umile. Se prendete quella bella, pensate a quanti bambini muoiono di fame. Soltanto quello. La gioia non viene dalle cose che si hanno”.
“In questo mondo in cui le ricchezze fanno tanto male, è necessario che noi preti, suore, tutti siamo coerenti con la nostra povertà. Quando trovi che il primo interesse di un’istituzione educativa, parrocchiale, è il denaro non fa bene. Questo non fa bene, è un’incoerenza”.

sabato 6 luglio 2013

Libertà

Libertà? Anche questa parola ha un segreto arcano, poliedrico nei suoi elementi. Per libertà s'intende fare quello che si vuole, di decidere nella propria vita ciò che più riteniamo  buono per noi. Dio rispetta la libertà dell'uomo, non lo forza a percorrere la sua via, ma gli pone davanti, come dice l'Antico Testamento, le due vie, quella del bene e quella del male, e gli lascia la libertà di scegliere fra le due. Sì, siamo liberi, ma cosa s'intende per libertà? Riprendiamo la prima definizione data: fare ciò che si vuole, scegliere, decidere...
Nella nostra esperienza quotidiana, ci rendiamo conto che non sempre possiamo fare ciò che vogliamo. I confini della nostra libertà terminano laddove iniziano quelli dell'altrui libertà. Ed ecco un confine. Se lo sorpassiamo, sentiamo l'amaro della sofferenza stringere il nostro cuore. Volenti o nolenti questo confine esiste e non possiamo sorpassarlo. In teoria si potrebbe, ma a quale prezzo? La prepotenza, la cattiveria? Già, quando questo confine diventa per noi inesistente ecco che il nostro cuore viene invaso dalle “passioni negative”. Questo confine è accettato dalle leggi morali inscritte nella nostra coscienza. Allorché lo varchiamo, ci sentiamo arrabbiati con il mondo intero, tristi... Chi conosce la vera libertà ha più possibilità di conoscere la vera gioia. Gesù aveva proclamato che la libertà ci fa liberi e la libertà è Lui stesso. Bisogna accogliere Gesù nella propria vita per sperimentare la libertà dei figli di Dio. 
La libertà cristiana è seguire il bene senza legami terreni, vincoli che ci trascinano a compiere il male. È rispettare i confini dell'altrui libertà, senza abbatterli.
Possedere la libertà cristiana non significa certo non sentire paura. I santi hanno provato paura ma hanno avuto il coraggio di superarlo per compiere il bene, per il bene della propria anima.
Un esempio fresco fresco: santa Maria Goretti. Avrebbe potuto cedere alle lusinghe di quel giovane, la paura delle sue minacce l'avrebbe gettata fra le sue braccia. Per lei era più importante la purezza del proprio spirito e del proprio corpo e, a soli 12 anni, affrontò la morte. Fu uccisa senza pietà da colui che l'aveva minacciata da tempo, la vita in cambio della purezza. Quando si conosce veramente Gesù non si ha più paura. Si preferisce morire anziché peccare. Si capisce che è lui l'unico bene, che nessuno mai potrà sostituirlo. Si comprende che la vera vita non è quella del corpo. Certamente che santa Maria Goretti aveva avuto paura, ma l'aveva superata anteponendola al bene che andava a raggiungere, liberata ormai del suo corpo. Che bell'esperienza quella della libertà cristiana!

Gioia

Il segreto della gioia? È nelle cose semplici. Siamo troppo indaffarati, troppo assorbiti dalle preoccupazioni e cose varie per accorgerci delle meraviglie che ci circondano: il sole che nasce e brilla sul mare; le nuvole; la pioggia... La gioia è così semplice che si nasconde nella creazione e si veste di un sorriso limpido e sereno. A volte bisogna fermarsi e assaporare queste semplici cose, per riscoprire la genuinità della gioia...