mercoledì 28 luglio 2010

Oggi è una giornata limpida: mentre andavo a messa, ho potuto ammirare la costa. Era così limpida che si vedevano chiaramente anche le case. C’erano alcune nuvole nere all’orizzonte e, dopo tanto caldo, si sentiva l’aria fresca che accarezzava la pelle. L’orizzonte era una linea netta. Come cambia il paesaggio! Mi sembrava che fosse addirittura settembre! I crinali dei monti apparivano netti contro l’azzurro del cielo che lentamente si ricopriva di nuvole. Una pace straordinaria, come una leggera bruma, si è impossessata del mio spirito. Basta vedere un’immagine che affiora dal passato, con le stesse caratteristiche, che un guazzabuglio di ricordi accarezzano il cuore, come quando si attraversa un bosco ottenebrato dalla nebbia, dalla quale, ad un certo punto affiora la forma di una persona. Lentamente sembra emergere dalla nebbia, fino ad assumere tratti sempre più chiari e nitidi ed allora si può riconoscere la persona stessa. Sensazioni strane che accarezzano il cuore, così come quella leggera nebbia simile a fiocchi trasparenti di neve,che indugiano sui rami ossuti dei pini. Le sensazioni vanno e vengono, non sono stabili, perché noi non siamo le nostre emozioni. C’è ben altro. Esse emergono per poi sparire inghiottite nel vortice del presente. Ma noi, siamo ben altro. Siamo qualcosa di più, oltre ai nostri ricordi e le nostre emozioni. Se basassimo la vita esclusivamente su questi due pilastri, crollerebbe tutto miseramente. L’uomo d’altronde, è più colpito dall’immediato. La riflessione, lo scavare responsabilmente dentro il cuore, generano fatica e abbisognano di tanta pazienza. Si ci deve fermare per non essere travolti da quel vortice, che da una parte ci affascina, ma ci porta lontano dalla nostra razionalità, come un canotto alla deriva, sballottato dai flutti del mare, trascinato dove la linea dell’orizzonte, scompare. Eppure, quante volte, anche nel nostro piccolo, ci pentiamo delle nostre reazioni immediate! Ormai è fatto e noi dobbiamo subire le conseguenze delle nostre azioni. Non tutti sono disposti a farlo. Quando ci si trova finalmente soli, lontano dai rumori della vita frenetica, riflettiamo sulla cosa e comprendiamo che quell’azione era stata compiuta in modo inconsiderato, ma capiamo pure, che non si può più tornare indietro e cancellare l’avvenimento. O lo accettiamo, oppure nascono dei profondi sensi di colpa i quali sono così dannosi, da generare tanti sentimenti che in fin dei conti, non siamo più in grado di fermare e razionalizzare. Questi sentimenti, ci trascinano, come la corrente vorticosa dei torrenti che corrono impetuosamente verso il mare, dove la loro acqua si confonde, non ha più la sua identità. Così i sentimenti, come torrenti impetuosi, s’immettono nel mare del nostro cuore e si confondono con esso, trascinandolo, sommergendolo nella loro veemenza ormai divenuta incontrollabile. L’uomo, diciamo spesso, è un essere razionale… ma come dimostriamo così bene che siamo risparmiatori della nostra razionalità e la custodiamo gelosamente in un cantuccio, da cui difficilmente la estraiamo. Meglio essere accarezzati dal soffio del vento che scompiglia i capelli e le nostre sensazioni si confondono e le accarezziamo perché in fondo riempiono la nostra vita.

Nei post precedenti ho parlato delle emozioni e del loro ruolo nella nostra vita. Forse a qualcuno sarà apparso che le valuti assolutamente in modo negativo. Ho voluto, diciamo così, trattare del lato oscuro della medaglia. D’altronde, abbiamo a che fare con le nostre emozioni, ogni giorno. Questo continuo contatto talvolta non ci permette di conoscerle e saperle instradare. Anzi, forse, quel contatto incessante, soprattutto parlo delle emozioni negative, ci pare un bombardamento su tutti i fronti e, siccome siamo attaccati da ogni parte, non sappiamo bene come difenderci. Finché sono positive, ci possiamo crogiolare in esse, ma quando sono negative, generano nella nostra vita quella personcina che non vorremmo mai incontrare: la sofferenza. Le emozioni, in questo caso, diventano quel torrente di cui ho già parlato. Il torrente ha caratteristiche particolari, molto differenti rispetto a quelle del fiume. Il torrente è corto e, nei periodi di secca, è capace di scomparire del tutto, facendo affiorare tra le sue acque, le pietre che custodiva e trascinava nella sua folle corsa verso il mare, verso cui sembra essere attratto, come il ferro dalla calamita. Basta una pioggia un po’ più intensa o violenta, ecco che il torrente spumeggia allegramente nel suo letto, ormai diventato tanto stretto, da desiderare di visitare le case che lo hanno sorvegliato, quando, sornione, si nascondeva agli occhi degli abitanti. Così sembrano essere le emozioni. Quelle positive ci portano ad un’euforia che bisognerebbe riuscire a controllare; quelle negative, alla depressione più nera, alla sofferenza che tanto ci disturba. E la sofferenza disturba tutti, senza distinzione.


domenica 25 luglio 2010

Ascoltare

Esistono due dimensioni su cui noi dobbiamo crescere: quella verticale e quella orizzontale. Pure la croce, infatti, è composta da due tronchi. Quella verticale, che deve reggere quella orizzontale, è costituita dal rapporto che l’anima ha con Dio. Il rapporto con il prossimo, senza questa dimensione, perderebbe parte del suo senso. Deve esistere una priorità che non può cambiare, che deve diventare un punto fermo nella nostra vita. Nessuno può inoltrarsi in un posto sconosciuto senza un punto di riferimento fisso, rischieremmo di perderci e camminare senza una meta precisa. Questo sarebbe deleterio per l’anima che ha bisogno come il lattante, di punti di riferimento fermi. L’uomo ha sempre sentito la necessità di orientarsi, per non perdersi. Ricordiamo il popolo dei Fenici che aguzzarono il loro ingegno e seppero studiare le stelle e le usarono come punti di riferimento, perché fisse nel cielo e non soggette a cambiamenti. Così anche noi, nel cammino spirituale, dobbiamo possedere dei punti di riferimento. In questo caso è Dio. La nostra stella polare che, anche nella notte più scura, deve saperci guidare nel cammino della nostra vita verso quella eterna, nostra meta finale. La preghiera e il rapporto con Dio, sono la linfa vitale che scorre nel “corpo” della nostra anima, il sangue, la vita. Come il sangue permette la vita del corpo vivificando tutte le membra, così anche la preghiera vivifica la vita dell’anima e il suo rapporto con i fratelli. Questa è una dimensione importantissima. Dio ci ha messo accanto da sempre persone con cui dobbiamo rapportarci. Non possiamo davvero diventare delle isole… ma nemmeno possiamo rapportarci agli altri, senza l’anima dell’amore. Lo faremmo in modo egoista, cercando solamente il nostro interesse. Invece, Dio purifica il nostro rapporto con il prossimo, lo vivifica, gli dà il nutrimento per crescere e rafforzarci. Egli è la radice del nostro amore verso il prossimo. Una dimensione non può escludere l’altra.

sabato 24 luglio 2010

Incertezze


Oggi ho affrontato un argomento molto importante e complesso. Questo ha scatenato molte riflessioni. L’argomento trattato era: di fronte a certi errori, di materia grave, ma non fatti intenzionalmente, quale deve essere la reazione?
Non so, ci sono certi avvenimenti che ti lasciano perplessi. Non sai che cosa pensare, come valutarli. Un esempio: la mamma ha dimenticato la figlia dentro la macchina; la mamma ha pagato questa dimenticanza con la morte della figlia. È un episodio grave, che fa riflettere. Prima di tutto il ruolo che ricopre colei che ha dimenticato nei confronti della vittima: era la madre e aveva una certa responsabilità su di essa. Com’è possibile? Com’è potuta accadere una cosa simile? Cosa è accaduto? Una dimenticanza fatale, non è la prima volta che accade, ma questa volta è costata la vita. Una vita spezzata, fra atroci sofferenze. Però dall’altra, c’è una madre, di cui conosciamo poco e niente. Il fatto è grave, ma dentro il suo cervello cos’è accaduto? Ci sono certe priorità nella vita che non devono essere superate da altre cose, nemmeno dalla propria sofferenza. La priorità in questo caso, in ogni caso, dovrebbe essere della figlia. Qualcosa deve essere successo, per dimenticare un’urgenza così importante. Io penso che il Signore l’abbia già perdonata, nonostante la materia sia grave, forse l’intenzionalità non c’era. Certo, bisogna essere davvero prudenti quando ci vengono affidate altre vite. Non possiamo lasciarci andare alle nostre preoccupazioni, dobbiamo pensare ai bisogni dell’altro. Si può sbagliare, però in questo caso la posta è molto alta. Si tratta della vita della figlia. Sono fatti davvero che sconcertano. Tante volte si vedono queste cose con il proprio metro di valutazione, secondo l’esperienza personale del passato che ritorna, come una marea nei giudizi presenti.
Incertezze, davvero grandi. Il fatto sconcerta, disorienta, perché grave, interroga e forse suscita anche un po’ di rabbia che può influenzare il giudizio personale . Ma c’è un limite che non si può varcare. Un limite che fa comprendere sempre meglio che non si può entrare dentro la coscienza di una persona, non si può valutare né giudicare la persona. Questo vale per tutti coloro che hanno sbagliato, qualunque sia la loro colpa. Quel limite non può essere superato da nessuno se non da Dio solo.
Stasera mi ha colpito molto l’atteggiamento della mamma di quella ragazza uccisa dall’ex ragazzo trentenne. Lei aveva solo sedici anni. La mamma, intervistata, ha risposto che aveva già perdonato l’assassino e ha commentato che il non perdonarlo, non le avrebbe restituito la figlia. È un atteggiamento eroico. Il legame tra la madre e la vittima era indiscutibile e aver saputo perdonare l’assassino è davvero eroico. Questo ci esorta a non giudicare mai il peccatore, anche se ciò che esso ha fatto, ci sconcerta e disorienta, fino a chiederci fin dove può arrivare l’uomo, dov’è il confine tra sbaglio e responsabilità, dovere e malattia, errore non intenzionale e fatalità.

Dialogare con Dio...

È impressionante come Dio guida la vita di una persona, come talvolta risponde anche quando si apre a caso un libro sacro, come può essere la Bibbia o la vita dei santi, a domande che in quel momento ci assillano. Mi sono domandata se fosse casualità. Il libro sacro è sempre stato aperto dopo una preghiera d’illuminazione e Lui mi ha sempre risposto chiaramente. I suoi modi sono davvero originali, ma è straordinario! È eccezionale come le sue risposte siano così chiare e concise. D’altronde non si può porre limite al suo modo di dialogare e di mettersi in contatto con l’anima che egli ama. Non diamo limiti al suo modo di dialogare!

venerdì 23 luglio 2010

Emozioni, quelle sconosciute


Emozioni, sensazioni confuse, che escono dall’intimo del cuore. Si cercano le cause ma è non è sempre così facile trovarne la sorgente. Eppure, sarebbe importante per avere un rapporto positivo con l’altro, senza trasformarlo in uno specchio dei nostri sentimenti e delle nostre paure. Tante volte capita, infatti, di trasferire le proprie ansie immotivate nelle situazioni concrete della vita, ricamandole con molta fantasia. A noi sembra che la nGiustificaostra paura per quel fatto concreto del presente, sia ampiamente motivata. A parte i casi in cui la motivazione è una situazione preoccupante, la paura emerge da fatti del passato e si cristallizza nel presente, tingendolo di drammaticità che forse non ha nulla di reale. Saper controllare le emozioni è importantissimo per imparare a razionalizzare il momento presente. Ecco perché i rapporti interpersonali si fanno complicati, a volte impossibili. Nell’altro si proiettano le paure, il nervosismo e talvolta anche la fantasia. I rapporti, quindi, si complicano, diventano impossibili. Riconduciamo l’atteggiamento altrui ad una nostra fantasia che sembra calzare a pennello. Facile cadere nell’aggressività, come mezzo di autodifesa, contro gli attacchi del prossimo. Come siamo complicati! Siamo mistero a noi stessi. Ci sarebbe da fare un lavoro personale molto intenso per comprendere quale sensazione proviene dal nostro mondo interiore o da quello esteriore e quindi da fatti concreti, reali. È un lavoro da eseguire, indispensabile se si vuole rapportarsi serenamente con se stessi e con gli altri. Un po’ come si fa con i metalli che per essere purificati, sono messi nel crogiolo. Un setaccio, certo, non così semplice da usare, ma ne vale la pena, anche perché in questo viaggio non siamo soli, Dio desidera che noi ci semplifichiamo. Lui è per eccellenza semplice e nel Vangelo c’è scritto che noi dobbiamo emularlo.

giovedì 22 luglio 2010

Il silenzio di Dio

Momento drammatico nel cammino di fede è il silenzio di Dio. La persona che si ama rimane muta, si nasconde allo sguardo. L’anima, allora, comincia a cercarlo ansiosamente. Ecco la figura della sposa del libro del Cantico dei Cantici, che, nel silenzio e nel buio della notte, cerca il suo sposo disperatamente. Sfida il rispetto umano e domanda alle guardie se avevano visto l’amato del suo cuore. Comincia l’attesa dello sposo. Un’attesa spasmodica, che si prolunga in una notte, senza fine, dei sensi. Momento drammatico. Colui che si ama è scomparso, si nasconde… Tutto tace, immerso in quel buio infinito, infinito come il mare nel quale s’immerge il cielo, privo di stelle, nero come l’inchiostro. Allora il cuore è trapassato dalla spada del dubbio. La ricerca dello sposo ferisce il cuore. Si soffre…

Nel silenzio della notte
Del mio spirito
Del mio cuore,
Signore,
Io ti cerco.
Immersa nel mare
Della mia vita
Nel silenzio più profondo
Solo il battito del mio cuore
Si sente.
Vibra
Come una corda
Di una chitarra
Forse
Dolci armonie
Potrebbe comporre
Armonie
Con la trama del silenzio
Nella brezza del
Mio mattino.
Dove tutto si confonde…

I nostri perché

Domande… quante domande ci poniamo soprattutto quando ci troviamo nel dubbio e nella sofferenza! Domande a cui vorremmo dare una risposta razionale, ma non riusciamo… Forse perché, in realtà, una vera risposta non c’è. Così vaghiamo tra questi dubbi, sofferti e intensi. Ci sembra di camminare senza una meta precisa e nel nostro cuore nasce la paura. Gl’interrogativi pesano sul nostro capo, come macigni. No, non ci sono risposte esatte che ci diano la soluzione di tutti i nostri problemi. Dobbiamo accettare il momento di crisi con fede, cercando di offrire il momento di difficoltà e affidarsi a Dio. Solo Lui possiede certe risposte. È anche vero che nemmeno Lui a volte ci risponde. Ci lascia un po’ crogiolare nel nostro dubbio, nella nostra sofferenza. Sembra non intervenire. Forse interviene con questo silenzio che a noi risulta pesante e muta la nostra attesa in una spasmodica attesa. Ma nulla, vuole semplicemente che c’interroghiamo sugli effetti del Suo silenzio nella nostra anima. Vuole che sappiamo accettarli anche se ci pesano, ci disorientano e qualche volta ci tolgono la serenità. Non dovrebbero, ma qualche volta ce la tolgono. Certo che i nostri perché salgono fino a Lui! Ma Lui, che vede più sapientemente di noi, pensa che il Suo silenzio, sia la cosa migliore per la nostra anima. Allora si può comprendere in modo appieno il grido del salmista: “Fino a quando fremerai di sdegno contro le preghiere del tuo popolo? Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza…” Esatto, il Suo silenzio sembra sdegno nei nostri confronti. Non lo è, ma noi ci sentiamo abbandonati. Non risponde!
Guida i nostri passi, Signore, lungo la strada della fede…

martedì 20 luglio 2010

Cosa significa dialogare


Dialogare è un’arte. Non è, infatti, così semplice. Ciò implica il possedere una serie di virtù non facili da acquistare. Ad esempio l’umiltà. E’ l’era della Comunicazione, ma spesso si fa fatica ad ascoltare gli altri. L’ascolto… bisogna avere tempo per ascoltare. Non si può correre. Ed ascoltare non è sentire. Ascoltare significa rompere i propri schemi mentali, per comprendere quelli degli altri. Disfare e rifare uno schema mentale su misura per gli altri. Ciò non significa necessariamente abbandonare le proprie idee, ma comprendere il prossimo per non giudicarlo, per non condannare i suoi atteggiamenti. Tanti atteggiamenti, infatti, provengono dalle esperienze vissute nel passato, scaturiscono da ferite che ci portiamo dall’infanzia e che conosciamo relativamente. Difficile conoscersi profondamente. Alcune cose rimangono nell’ombra. Talvolta cerchiamo di sezionarle, ma ci perdiamo nel bosco delle nostre sofferenze che emergono dall’ombra dei nostri ricordi senza possedere un’identità precisa. E questa identità non precisa genera paura, insofferenza, come tutto ciò che è ignoto. Un po’ come la paura del buio dei bambini. I bambini spesso asseriscono di aver timore del buio e se si chiede loro il motivo, rispondono che pensano che, dietro quel sipario scuro come l’inchiostro, si nascondano mostri indecifrabili che possono attentare alla loro vita. Non sanno esprimersi con concetti plausibili, raccontare i propri sentimenti come l’adulto e quindi definiscono l’ignoto come un mostro. Quello che non si conosce fa paura, anche all’adulto. L’adulto maschera questa paura con l’aggressività e, in certe situazioni, nemmeno lui sa definire ciò che lo turba. Il suo bagaglio di esperienze, negative e positive, lo disorienta. Gli sembra che quella tal emozione emerga da una data esperienza negativa, ma ecco che tutto ad un tratto, comprende confuso, che non è così. Ricomincia a rimestare tra i vari ricordi del passato, ma vede che non riesce. Avere le idee chiare, non è davvero così semplice come sembra. Anzi, chi riesce ad avere subito le idee chiare, secondo me, dovrebbe entrare nel guinness dei primati, più di quello che sa sollevare il peso di una tonnellata! Fare chiarezza dentro di sé diventa un lavoro improbo, proprio da primato. Chi non fa chiarezza sembra raccontare bugie, ma non è proprio così. Magari non ha fatto chiarezza dentro di sé e nemmeno lui sa raccontare la sua verità interiore. Certamente, esige tanta concentrazione sui propri sentimenti e capacità di analisi. Un processo di guarigione abbastanza articolato e complesso, ma, da una parte, necessario per tutti, non solo per chi si è impegnato nella propria santificazione. Anche chi è ateo, dovrebbe comprendere che è necessario modificarsi per andare incontro all’altro, altrimenti si apre sotto di lui il baratro della solitudine, non lasciandogli scampo.

Dialogo

Dialogare non vuol dire lasciare le proprie opinioni per accettarne altre, oppure modificarle in modo da trovare un compromesso e una pace che, invero, non è la più coraggiosa del mondo. Fare questo sarebbe come essere una banderuola che si lascia trasportare dal vento secondo la direzione verso cui spira. Giusto? A me non pare. Uno non lascerebbe mai le convinzioni politiche per abbracciare quelle dell’avversario. Non è consigliabile iniziare una frase con una congiunzione. Quindi, perché dovrebbe farlo un cattolico? Le convinzioni dei cattolici, della Chiesa in generale, sono radicate nel Vangelo. Come tante volte si dice, il Vangelo non si cambia perché è Parola di Dio.

lunedì 19 luglio 2010

Giovanni Paolo II, un pontificato lungo 27 anni

Un bagno di folla… Fazzolettini colorati sventolavano allegramente. Chiavari, 1998: visita del Santo Padre. In quell’anno era Papa il grande Giovanni Paolo II. Calò il silenzio quando cominciò la Messa che era celebrata nel piazzale che costeggiava il mare. Quel giorno nel cielo c’era un sole splendente. Il raccoglimento della folla accorsa per il grande avvenimento, era stupefacente. Il Papa, come suo solito, si sorreggeva alla Croce. Era anziano a quei tempi, ma era ancora in gamba. Stringeva con forza il suo pastorale, come per attingere forza e illuminazione, per dirigere quella folla che acclamava il suo pastore, successore di Pietro. Come disse Cristo, il successore di Pietro, lo avrebbe rappresentato sulla terra. Noi giovani ci recammo nella pista da cui sarebbe partito l’elicottero del papa, per salutarlo. L’entusiasmo era incontenibile. Non riuscivo a staccare il mio sguardo da quella figura. Lo salutammo con tutto il nostro impegno ed entusiasmo giovanile. Cori da stadio, ma anche canti della sua terra. Il nostro polacco non era certo dei migliori, ma egli ci ringraziò. La sua voce vibrava ancora giovane ed entusiasta. Fece roteare il suo bastone, com’era solito fare con i giovani. Il suo sguardo si era illuminato e non riusciva ad allontanarsi da noi. Vissi un’esperienza molto forte e inaspettata che avevo provato solamente la prima volta che mi recai a Roma nel 1994. Quel clima di Chiesa, di universalità lo respirai allora. Era un clima che non so descrivere a parole e che respirai e assaporai quando andai a san Pietro. Allora non vidi il Papa, anche se avrei voluto. A quei tempi s’ignorava che lui aveva fatto già miracoli in vita. Si vedeva però che era un papa che aveva volontà di costruire la pace con il dialogo, dialogo che in effetti avviò con le varie rappresentanze politiche e religiose. Di dialogo lui se ne intendeva, visto che aveva vissuto due regimi che non scherzavano per niente: il nazismo e il comunismo. Era una persona alla mano, semplice, che sapeva accostarsi alla gente con idee diverse che lui non condivideva. Una polacca che ha vissuto il regime del comunismo, mi ha raccontato che Papa Wojtyla, il quale all’epoca era ancora cardinale, con la sua semplicità, era riuscito a convincere il leader polacco a dargli il consenso a venire in Italia per il Conclave. Il regime comunista controllava, infatti, ciò che faceva la Chiesa e doveva dare lui il consenso per uscire dalla Patria. Si racconta, infatti, che il capo dello stato accordò il permesso perché lo aveva sottovalutato e aveva pensato che di certo non sarebbe diventato papa. Quanta sorpresa, mista ad ammirazione, provò lo stesso leader polacco quando apprese che proprio il suo Cardinale era stato eletto papa! Aveva solamente 58 anni. Seppe accettare con umiltà l’incarico gravoso che la Chiesa gli aveva posto innanzi, con la sua fede forte e genuina, la sua semplicità che incantava chi si accostava a Lui. Ma, si sa, è un po’ come la storia della Sacra Famiglia in viaggio con l’asino, narrata dalla saggezza popolare che la sa lunga in fatto di psicologia più di Freud, per rilevare quanto la gente, non sappia vedere il punto di vista dell’altro, ma qualsiasi cosa faccia, critichi. Si dice infatti che la Sacra Famiglia fosse in viaggio con il suo asinello. Maria viaggiava seduta sull’asino con in braccio il Bambino, mentre Giuseppe, guidava l’animale tenendolo per le briglie. La gente vide e cominciò a criticare. “Ma come mai, quella donna con il bambino grava di tale peso l’asinello, così stanco?”. La Sacra Famiglia sentì e decise di cambiare. La Madonna e il Bambino scesero, mentre Giuseppe salì sull’asino. Splendido, a questo punto forse nessuno dirà nulla… ed invece… “Ma guarda quell’uomo che fa andare la sua sposa con il figlio a piedi, mentre lui è comodo sull’asino!”. La Sacra Famiglia, per non dare nell’occhio, decise di compiere l’ultima soluzione possibile: tutti e tre a piedi, così l’asino si sarebbe riposato e non avrebbero pensato che fra loro c’erano privilegi di sorta. Nessuno ha commentato? Un sogno! “Ma guarda quei tre… vanno a piedi, faticano, quando possiedono una cavalcatura, così comoda che è quell’asino!”. I commenti vanno da sé, ovviamente. Così, anche il nuovo giovane Papa Wojtyla, incontrò le critiche delle persone. In primis… non era italiano! Seconda cosa, viaggiava troppo! Terzo: si mescolava ai musulmani, ortodossi… Quarto: parlava con i leader politici, soprattutto quelli che negavano la libertà al popolo. Qualcuno degli uomini politici, si videro i risultati, cambiò. Forse toccato dalla sua carica di umanità, la sua capacità di non far pesare le sue idee che comunque doveva sostenere. Bonaccione, ma nello stesso tempo, fermo nelle sue idee, senza alcun rispetto umano e desiderio di trarre a tutti i costi alla Sua persona gli altri. Lui voleva semplicemente attrarre gli altri all’ideale di Cristo e della Chiesa. Azzeccato il breve filmato mandato in onda pochi giorni fa alla RAI in suo ricordo. Hanno parlato tante persone di fede che hanno raccontato i propri ricordi con commozione, perché coinvolti in prima persona… Come lo fu il Papa attuale, Benedetto XVI, il quale ha avuto sempre la grande umiltà di accettare l’incarico dopo una figura così carismatica come lo fu il suo “amato predecessore“, come spesso lo chiama lui. Un uomo, il suo predecessore, che aveva saputo attirare una folla immensa, mai vista, al momento della sua morte, che ha fatto piangere di tristezza, ma anche di gioia, milioni e milioni di persone, perché accanto al Suo corpo si respirava già l’aria di paradiso. Umiltà, quella di Benedetto XVI, perché non si vergogna, né è preso da gelosia, quando parla sempre del Suo predecessore, sapendo benissimo che anche i cattolici fanno raffronti fra lui e Giovanni Paolo II… E così la sua vita è terminata, almeno quella sulla terra. Il Vangelo posto sulla sua bara, si è chiuso alla fine della Messa, perché per Lui, il grande Giovanni Paolo II, il Vangelo di fede è terminato. E’ cominciato il Vangelo della certezza, la visione di Dio.

domenica 18 luglio 2010

La piccola carità

Come ho detto nell’altro post, si può praticare la grande carità solamente se si è già allenati a quella piccola, la più nascosta e forse la più difficile. I grandi gesti di carità possono nascondere innumerevoli motivazioni umane. Quelli piccoli si celano così bene, che tante volte sono persino fraintesi. La grande maestra di questo è santa Teresina di Lisieux. Non solo lei. Ce ne sono stati tanti che hanno dimostrato che la santità si costruisce compiendo atti di carità piccoli, nascosti. Ciò che santifica è fare tutto per amore, per Dio, senza sperarne il contraccambio. Alcuni sono convinti che chi soffre tanto raggiunge la santità. Questo non è propriamente vero. Sappiamo, infatti, che tanti hanno generato una rivolta interiore quando si sono trovati nella sofferenza. È Vero che chi ha amato profondamente Gesù ha dovuto condividere con Lui il Calvario, ma questo diventa l’espressione più alta dell’amore e non un inutile masochismo. L’anima desidera talmente conformarsi a Gesù, che ne accetta e assimila pienamente il pensiero. Ciò che portò Gesù sulla croce non fu il desiderio di soffrire, ma quello di salvare l’uomo, e quindi l’amore. In rapporto a ciò, riempìti di amore, di carità autentica, i Santi si conformano pienamente al pensiero di Cristo, al Suo anelito. I santi ambiscono ad avere un contatto continuo con Gesù, perché Egli è la Persona amata. Questo contatto si stabilisce tramite lo Spirito che riempie il loro cuore e si manifesta anche nei loro atti.

Incontro con Dio

Incontrare Dio nella fede è solamente una grazia. Essere cristiani non vuol dire essere esenti da dubbi. Non avrebbe altrimenti senso la stessa parola “fede”. Fede diventerebbe certezza. Tante volte Gesù ha esortato i suoi apostoli ad avere fede, soprattutto nei momenti di difficoltà e di sofferenza. Fosse una cosa automatica, Gesù non li avrebbe spronati a credere. Il cristiano, nel suo cammino di fede, si trova spesso nella giungla del dubbio, del lavorio interiore che cerca le sue certezze. In questa giungla c’è poco di chiaro ed il travaglio interiore si fa più intenso. Gesù conosce bene l’uomo e non ha mai detto che è facile aver fede e lo racconta nel Vangelo. A volte penso allo smarrimento dei discepoli quando Gesù è morto sulla croce. Anche loro hanno vissuto il travaglio del dubbio, un dubbio forte, drammatico. Ma cosa è accaduto ai discepoli? Non avrebbero creduto senz’altro se Gesù non fosse loro apparso. Sta di fatto che essi cambiarono atteggiamento e seppero donare la vita, sopportando i supplizi più crudeli. E non è stato facile per loro. Basti pensare a Pietro che voleva fuggire da Roma, dove sapeva benissimo che Dio gli stava chiedendo il sacrificio supremo della vita e sappiamo che Pietro aveva un carattere impulsivo e generoso: “Io darò la vita per te!” . Aveva affermato quando Gesù asserì che un suo discepolo lo avrebbe tradito…
E qualche volta, a parte la mia esperienza personale, ripenso ai grandi santi, che hanno saputo affrontare le sofferenze più grandi per amore di Cristo. C’è stato un incontro personale, non si possono spiegare altrimenti. La pratica della carità non è automatica. Essa non si può paragonare al volontarismo. La piccola carità, quella, cioè che richiede ancor più eroismo di quella grande, è difficile da praticare perché essa rimane nascosta e senza riconoscimento. Nessuno è capace di compiere grandi atti di carità autentici se prima non si è esercitato nella pratica della piccola carità.


sabato 17 luglio 2010

Vivere la vita

Era un canto dei Gen, molto bello, ormai un po’ vecchiotto, ma che viene cantato ancora nelle chiese. Il contenuto è molto profondo e può essere oggetto di meditazione. Ad esempio l’inizio: “Vivere la vita con le gioie e coi dolori di ogni giorno, è quello che Dio vuole da te”. È ciò che hanno vissuto tanti giovani appartenenti al movimento dei Focolarini, i quali hanno saputo trasformare la loro vita in un cantico d’amore, un Vangelo vivente. Alcuni nomi: Daniela Zanetta, Chiara Badano che a settembre verrà proclamata beata. Giovani forti che hanno saputo vincere il mondo, come disse san Giovanni nella sua lettera, giovani che hanno vinto il male. Ed è vero, queste due ragazze, ma ce ne sarebbero tanti altri, hanno saputo vivere con eroicità la vita, proprio realizzando ciò che i Gen hanno detto all’inizio di quel bellissimo canto. In questo mondo in cui sembra importante il fare, l’efficienza fisica, queste due ragazze hanno saputo testimoniare che la cosa più importante della vita è rimanere unite a Gesù. È così, infatti, qualunque sia la vocazione della persona; ciò che conta è vivere il Vangelo, stando vicino a Gesù, sapendo accettare le gioie e i dolori che Dio permette nella vita. Hanno saputo distaccarsi dalla vita nonostante l’amassero intensamente, per proiettarsi nell’eternità, la vera vita, quella che non avrà mai fine. Hanno accettato il dolore profondo della malattia, esercitando un’obbedienza ammirevole a Dio, sapendo scherzare sul dolore e a volte, sapendolo anche superare con la propria volontà. Giovani davvero generosi, che hanno saputo offrire la vita in olocausto supremo. Soprattutto, fra queste due figure che ho menzionato, mi ha colpito quella di Chiara Badano, per il suo costante sorriso, il suo amore per lo sport e la vita, la sua capacità di accettare dopo diciassette anni di salute, una malattia che la porterà alla tomba divenuta poi meta di pellegrinaggi. Tanti che si sono accostati a lei durante la sua vita terrena, si sono convertiti, hanno incontrato Cristo…. Penso che nel cristianesimo sia importante questo, vivere con gioia la vita. Alcuni pensano infatti che i cristiani siano musoni, tutti seri, chiusi nelle celebrazioni liturgiche. Non è così però. Il vero cristiano è colui che ha sempre il sorriso sulle labbra e ama profondamente la vita. Così fu per Chiara Badano, la quale aveva un futuro davanti a sé. Era una bella ragazza e sembra volesse formarsi una famiglia, numerosa, con tanti figli. I progetti di Dio erano molto diversi. Ad un certo punto, lei, così sportiva, scoprì di essere ammalata di un cancro alle ossa. A quell’età un cancro si diffonde in modo più rapido, consumandone la vita repentinamente. Già, come Mario Filippo Bagliani, di cui ho già raccontato la storia. È più o meno la stessa storia, al femminile.

venerdì 16 luglio 2010

Desiderio di santità

Qualche volta capita che leggendo la storia di qualche santo, ci s’infervori, si desideri imitarne le virtù. Chissà cosa accadrebbe se analizzassimo sinceramente i nostri sentimenti e quindi il motivo per cui si desidera imitare quella vita. Qualche volta sono proprio gli elogi fatti dagli autori a spronarci all’imitazione e non tanto il fatto che quella persona ha amato Dio più di tutta la sua vita. È positivo comunque, d’accordo: la lettura della vita dei santi è sempre costruttiva. Da una cosa ne può nascere un’altra, non sempre si comincia con la retta intenzione, ma poi la pace, la dolcezza che ne conseguono, si comincia ad amare Dio sempre più, fino poi ad arrivare alla purezza dell’amore. La lettura della vita dei santi sprona, gli esempi che loro ci danno, sono meravigliosi, ci riempiono di entusiasmo, ma poi, quando la purificazione del dolore bussa alla porta della vita, ecco che ci si accorge che la strada della santità è davvero quella strada stretta descritta da Gesù. Gli onori e i complimenti che si leggono sui libri non sono altro che pallide chimere… e poi, la vera santità si basa sull’umiltà e non su una pseudo - umiltà.

mercoledì 14 luglio 2010

Nelle tue mani non ho paura

Difficile avere questa disposizione d'animo, abbandonarsi nelle Sue mani senza paura... Difficile davvero, soprattutto quando la spada della sofferenza trapassa l'anima o la nebbia offusca il percorso della vita. Eppure Dio è un padre ricolmo d'amore. Tante volte anche i genitori per preservarci da un male peggiore ci scuotono, ci fanno provare paura, semplicemente perché non subiamo il male peggiore. La medicina fa male, è amara, tuttavia i suoi effetti sono quelli della guarigione. Nelle Sue mani non ho paura... Eppure Lui ci vuole ancora più bene dei genitori. L'affetto dei genitori per quanto sia grande è sempre imperfetto, ma quello di Dio è veramente perfetto. Non ha alcun difetto. È un amore grande, immenso, infinito. Eppure, nonostante tutto si sente paura, il passo vacilla.

martedì 13 luglio 2010

Omicidi passionali

Ancora omicidi passionali. A parte lo sdegno e la riflessione conseguente, mi chiedo come sia possibile che si susseguano uno dietro l'altro episodi simili, con lo stesso movente. È bastato uno con una variante, quella del suicidio, che subito è stato seguito da un episodio simile. Casualità? Non so, non saprei definire, ho qualche dubbio. Penso, in realtà, che questa società sia ammalata, oltre che d'indifferenza, anche di spersonalizzazione. Si tende ad imitare, a ragionare con la testa dell'altro, ma sappiamo che ogni problema va affrontato in modo differente. Non si può generalizzare. Ognuno ha il suo modo di agire a seconda del proprio carattere... Non riesco a comprendere come possa una persona imitare un gesto così crudele, ma la catena di questi omicidi, così simili fra loro, fa pensare che qualche problema ci sia stato. Perché? Non saprei di certo dare una risposta decisiva, non si può entrare nel cervello dell'uomo, ma definire il tutto una casualità, mi sembra eccessivo. Può essere il caldo ad aver dato alla testa, questo senz'altro.

L'altra riflessione, che è poi quella più spontanea, è questa: possibile che non si riesca più a gestire i propri sentimenti, tanto da farli esplodere in un delitto? Si costringe l'altro con la violenza ad aderire ai nostri capricci. Non si accetta l'abbandono, non si riesce a superare la sofferenza che ne consegue, con il travaglio di ogni giorno, perché per tutti è difficile accettarlo...Ma se tutti lo portassero al punto estremo dell'omicidio, non ci sarebbero più abitanti sulla terra. Preghiamo per questa umanità così ammalata

lunedì 12 luglio 2010

Mezzi di comunicazione

Che grande responsabilità hanno i mezzi di comunicazione! O mass – media come vengono chiamati oggi in perfetto inglese. Non parlo ovviamente e solamente dei telegiornali, ma anche delle rubriche televisive, film apparentemente innocui che pure tante volte seminano ideologie atee e contro la vita. I telegiornali elencano notizie tragiche, un vero bollettino di guerra, magari alternandole a stupidaggini ed evidenziando solo la parte sensazionale dell'avvenimento. Le notizie vengono poi enunciate con rapidità suscitando in chi le sente una certa indifferenza. Ultimamente ho sentito dire che il contrario dell'amore non è l'odio ma l'indifferenza. Il bello è che anche il telegiornale condanna l'indifferenza che è quasi diventata un atteggiamento abituale della nostra società, e non si accorgono che è il telegiornale stesso, o meglio il modo con cui dice le notizie, che genera indifferenza a lungo andare e l'indifferenza ottenebra ancor di più dell'odio il cuore delle persone, le rende egoiste, chiuse in se stesse e ai propri interessi. Così si possono osservare persone che tranquillamente passano accanto a una persona che giace a terra senza sensi, oppure vengono commessi tranquillamente, sotto gli occhi di tutti i più efferati delitti, senza che nessuno alzi un dito. Paura... indifferenza... non ci si vuole compromettere più di tanto. Un antico detto latino: “Mors tua, vita mea.”: “morte tua, vita mia”. Certo, non è facile uscire dal guscio delle proprie paure, ma l'indifferenza è impressionante. Non ci importa più di tanto che la persona riversa per terra possa perdere la vita, ma abbiamo timore che quella ci possa rubare la nostra. Abbiamo paura, una paura folle che ci facciano del male. In fondo se ne sentono tante: facciamo del bene e l'altro per ringraziamento non trova altro di meglio che mandarci al Creatore. Telegiornale? Effetti telegiornale? Non saprei definire. L'argomento rimane molto complesso. Certo è, che Gesù non ci ha insegnato così. La parabola, quella del buon Samaritano, letta ieri, trattava proprio di questo. Accanto a quel malcapitato, spogliato, percosso a sangue, passò una serie di persone: un sacerdote...Caspita, un funzionario del Tempio, uno che offriva sacrifici a Dio per placare la Sua giustizia...Uno, insomma, che avrebbe dovuto accostarsi al Dio Santo e conoscerlo come tremendo, giusto... Come lo proclamavano gli Ebrei. Che cosa fece il Sacerdote? Bhe, non ebbe di meglio da fare, per mettere a tacere la coscienza, che cambiare addirittura strada. Passò dall'altra parte!!! altro che prossimo... occhio non vede, cuore non duole. Lo dice anche un famoso proverbio. Meglio non passare davanti alla miseria, così non ci sentiamo interpellati a fare qualche cosa e la coscienza s'immerge nel silenzio più assoluto... Forse.... Il levita.... non tenta nemmeno di far tacere la sua coscienza... Passa accanto a lui, senza degnarsi di dargli uno sguardo, semplicemente, passa oltre. Invece un Samaritano, uno straniero, di quelli considerati eretici, uno che non godeva di alcun diritto, gli passò accanto...Non cambiò strada come il Sacerdote, né passò oltre come il Levita, gli passò accanto. Il verbo usato è lo stesso, passare, ma l'avverbio usato per i vari contesti è diverso: dall'altra parte, oltre... l'ultimo, quello attribuito da Gesù al Samaritano, è accanto. Ho riflettuto molto su questa parabola. Tutti questi tre personaggi dovevano passare, cioè viaggiavano per motivi improrogabili, ma è il modo di accostarsi al sofferente che è diverso: uno passa dall'altra strada. Non vuole nemmeno incontrarsi con la sofferenza, meglio cambiare strada. L'altro, affetto da indifferenza acuta, passa oltre. Incontra la sofferenza altrui, ma non vuole mettersi in contatto con essa e preferisce andare oltre, non comunicare con essa. Ma il Samaritano, gli passò accanto, non fuggì dalla sofferenza altrui, vuole vederla da vicino, mettersi in contatto con essa. Non ha paura di sporcarsi le mani. Dopo essergli passato accanto, lo vide e quindi ne ebbe compassione. La vista della sofferenza di quel viandante sfortunato, gli procura compassione, desiderio di condividere la sofferenza. La compassione del Samaritano non è semplice pietismo. Lo vediamo infatti, accostarsi , curarlo e persino provvedere alle sue necessità. Si fa carico, insomma della sofferenza altrui. È Gesù, ovviamente, il nostro Buon Samaritano. Il Suo atteggiamento nei confronti dei sofferenti, lungo la Sua vita terrena è sempre stato quello. Lui con le parabole, ci vuole insegnare un atteggiamento di fondo, quello di avere una compassione attiva, cioè concreta, nei confronti dei nostri fratelli. Sono giunta a parlare di questo passando da una riflessione all'altra: sono uscita un po' dal seminato. Riprendo a trattare riguardo al messaggio che può dare un film. Certamente partendo dal presupposto della fede. Ecco il solito film in cui c'è la persona che si fa tutto a tutti, che prova compassione per coloro che soffrono. Sta vicino ai malati e non è solo una professione per lui ma una missione. Appare totalmente coinvolto dal dolore altrui. Ecco che in questo scenario di altruismo s'innesta l'idea dell'eutanasia. Non si può far soffrire una persona così tanto, bisogna decidere di toglierle la vita, in modo che non affronti il dolore a cui la malattia l'avrebbe portato. Oppure... coppia disperata... Poveracci, non possono avere figli ma ne vogliono a tutti i costi. La natura però non glieli concede... scene di pianti disperati, sofferenza...e alla fine ecco che è meglio forzare la natura, piuttosto che accettare i suoi ritmi. No, non si può. Definirei questa un'azione diabolica. Si riveste del bene per innestare nella mente quel germe di morte che si camuffa da vita. Non c'è nulla di più subdolo. Ed entra nelle nostre case tranquillamente, nelle vesti di un film avvincente, cosicché è più facile entrare nel modo di pensare.

Rubriche televisive...Con tanta facilità si sente parlare di cose personali anche della vita di coppia. Tutto in piazza. Non esistono remore. Tutto è lecito... e così si fa passare un atteggiamento immorale come la cosa più naturale del mondo, a volte addirittura come un comportamento indispensabile da tenere... L'inganno è proprio l'azione più subdola del demonio. Con questo ci riesce benissimo.

sabato 10 luglio 2010

La misericordia

Attributo fondamentale di Dio è la misericordia. Viene proclamata da tutti, soprattutto dopo il Concilio.... Ed è vero, è la qualità più bella che ci ha rivelato Gesù nel corso della Sua vita terrena. Abituati ad un Dio Padrone, o meglio, Santo, separato dagli uomini, Gesù è venuto sulla terra per svelarci il volto del Padre. Dio è misericordioso e la virtù che più gli piace vedere in noi è l'umiltà. È questa che attira la misericordia di Dio e cancella i nostri peccati e ci merita il Paradiso. Come ho detto tante volte, colui che è impegnato a criticare gli altri, comunemente non riconosce i propri peccati. Vede gli altri sempre in torto e conosce la carità solo come concetto ideale, spirituale. Ricordiamo che anche i farisei che erano religiosi e praticanti, criticavano spesso gli altri. Quante volte sono stati definiti ciechi da Gesù! Non riuscivano a vedere i propri peccati, eppure pregavano e partecipavano alle funzioni religiose. Quindi non ci deve stupire più di tanto, se coloro che pregano molto sono ammalati di superbia e non riescono a vedere i loro peccati. Non vedendoli, non si correggono mai. Il criticare sembra ai loro occhi simbolo di perfezione, di conoscere la santità. Non si accorgono però che conoscere la santità non basta, bisogna praticarla e che proprio quel criticare, li può portare alla possibile perdizione eterna. Per questo Gesù si scagliava spesso contro i farisei. Essi, nel loro criticare, non vedevano i propri errori, si sentivano giusti e quindi non bisognosi né di Dio e quindi tanto meno della Sua misericordia. Ecco la differenza fra i farisei e i peccatori. Non era Gesù che non si rivelava ai farisei, erano loro che lo rifiutavano, e poiché Dio ci lascia il libero arbitrio, non ha mai potuto forzare il loro spirito. Essi stessi si allontanavano da Dio. Così accadrebbe a noi se non riconoscessimo i nostri peccati. Non sentiremmo il bisogno della Sua misericordia e Lui ci rispetterebbe e lascerebbe che noi ci allontanassimo da Lui per tutta l'eternità.

venerdì 9 luglio 2010

Giornata molto calda. I palazzi, che sembrano vegliare l'azzurro del mare, s'accendono dell'oro del sole, mentre il vento gioca con le foglie che ricoprono il marciapiede. Mentre mi reco nella chiesa dove assisto alla Santa Messa, prego il Rosario...Forse la mente sembra non essere sempre presente a se stessa, qualche volta si distrae...Ma poi m'immergo in riflessioni profonde che vorrei diventino vita concreta. Inutile infatti fare tante meditazioni quando poi non si riesce a realizzarle. Lo disse anche Gesù nel Vangelo: “Non chi dice, Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli...ma chi fa la volontà di Dio.” I piani di Dio anche riguardo a ciò che si decide di fare durante il giorno, è imprevedibile. L'apertura di mente è fondamentale per accogliere i piani di Dio. Faccio un esempio. È una giornata splendida. C'è tanta pace, le vie sono vuote e dopo la Santa Messa si avverte il desiderio di rimanere con Dio, nella contemplazione della preghiera... Ma si torna a casa e Dio dispone i fatti in altro modo. È più urgente rimanere con gli altri, fare un'opera buona. In quel momento la preghiera che desidera Dio è questa. Un'opera buona. Desideravi il silenzio, ma Egli ti offre il contatto umano, un impegno importante. Ma come? Avevo un grande desiderio di pregare e mi ritrovo a fare altre cose contro la mia volontà. Volontà di Dio, senz'altro. Ecco in cosa consiste l'apertura mentale, e quante volte il mutare del disegno di Dio genera nervoso! È un esercizio molto salutare per l'anima.

mercoledì 7 luglio 2010

Affidarsi alla Madonna

Mi rifugio all'ombra delle tue ali, finché sia passato il pericolo.... Così recita parte di un salmo. Si riferisce ad una determinata cultura, quella ebraica. Gli Ebrei erano un popolo di pastori e quindi pratici della natura. Facilmente usavano questi paragoni o simbologie. Rifugiarsi all'ombra delle Sue ali, significa scampare alla morte. Dio era paragonato ad un'aquila, il rapace re del cielo...

Sarebbe bello avere questa certezza e vivere di essa, non preoccupandosi più della propria vita e affidando tutto a Dio. E poi abbiamo una potente avvocata presso Dio ed è la Madonna che presenta a Lui tutte le nostre necessità. Allora, valutando la cosa su questo punto, possiamo dire che la nostra vita potrebbe scorrere senza turbamenti. Non preoccupatevi di ciò che mangerete e di che cosa vestirete, il Signore sa di che cosa avete bisogno... Non affannatevi... Perché non potete aggiungere un'ora sola alla vostra vita. Il non preoccuparsi delle cose terrene, s'innesta nel valutare sacra la vita, donataci da Dio. La vita non ci appartiene e quindi nemmeno la malattia e la sofferenza.